La
regina “la cui freccia raggiunge sempre l’obiettivo”.
Così
viene ricordata ancor oggi la regina d'Angola, Anne Zingha, divenuta
un simbolo di fierezza e di dignità, un esempio luminoso di
resistenza.
Era
il 1484, l'ammiraglio portoghese Diogo Cão, approdato con le sue
caravelle in Angola, si stupiva nel vedere un territorio molto
fertile, bagnato da numerosi corsi d'acqua, con campi ben coltivati e
allevamenti di bovini, diviso nelle sue otto province dai viali colmi
di melograni aranci e limoni. Era certo uno spettacolo, - così
testimoniano coloro che in quel tempo arrivarono in Angola da altri
luoghi, - posare lo sguardo sui campi di grano e sulla frutta
abbondante e sulla gente operosa al lavoro dei campi!
E le testimonianze concordano nel parlare dell'abilità e dell'ingegnosità degli Angolani. Vi erano agricoltori esperti della coltivazione, artigiani che lavoravano l'avorio, conciavano pelli e fabbricavano oggetti di rame, commercianti che trasportavano oltre i confini del paese i prodotti minerari della prospera industria estrattiva.
Il fiume Cuanza, che nasce a 1450 metri di altitudine dall'Altopiano di Bié e dopo un corso dalla lunghezza di circa 900 chilometri sfocia nell'Atlantico, per lungo tratto navigabile, trasportava nella sua corrente preziosi diamanti: i Portoghesi perciò decisero di occupare la zona che prospettava ricchezze e di farne anche uno scalo per il mercato degli schiavi. Il triste, drammatico e disumano capitolo della deportazione, che sembra non aver mai fine in questo nostro mondo, ebbe in quei luoghi uno dei più gravi momenti: si voleva decimare un'intera popolazione da inviare nelle piantagioni brasiliane per rendere il territorio libero dagli autoctoni e meglio sfruttarlo a proprio interesse. Tutto in nome di sua maestà Giovanni II, re del Portogallo.
Quelle terre appartenevano al regno di Matamba-Ndongo, un regno molto prospero e potente, che controllava vasti territori, dei quali molti erano ad esso vincolati da rapporti di vassallaggio. Cão aveva rapito anche alcuni membri della nobiltà del regno, portandoli come prigionieri in Portogallo e due anni dopo li aveva ricondotti indietro, ottenendo che il re Nzinga a Nkuwu acconsentisse a convertirsi al cristianesimo. Ma dopo varie vicende che testimoniano da una parte i tentativi di completa ( persino religiosa!) sottomissione degli Angolani, dall'altra quelli di, sia pure con fasi alterne, adattarsi nel modo più dignitoso possibile alle prepotenze dei nuovi arrivati, nel 1575 scoppiò la ribellione contro gli oppressori europei.
Per più di un secolo infuriò la lotta tra i portoghesi armati di moschetto e gli Angolani solo di arco e frecce, ma di grande coraggio! E mentre le province costiere capitolavano una alla volta, costrette ad arrendersi alla soverchiante forza di armi più potenti, il territorio del Matamba, la cui resistenza è ancor oggi motivo di orgoglio per gli Africani, metteva a durissima prova gli aggressori. Qui, nel 1617, il re, che alla morte del padre, aveva usurpato il regno al fratello designato, volle tentare un'azione gloriosa nei confronti dei Portoghesi, inviando contro di loro trentamila guerrieri: ne seguì un massacro, una disastrosa sconfitta.
Fu in quella tragica occasione che la regina "Ngola Mbandi Nzinga Bandi Kia Ngola" ( ossia: “la cui freccia raggiunge sempre l’obiettivo”) iniziò la sua gloriosa, leggendaria, azione eroica. Fu infatti inviata a negoziare il trattato di pace con i Portoghesi.
E le testimonianze concordano nel parlare dell'abilità e dell'ingegnosità degli Angolani. Vi erano agricoltori esperti della coltivazione, artigiani che lavoravano l'avorio, conciavano pelli e fabbricavano oggetti di rame, commercianti che trasportavano oltre i confini del paese i prodotti minerari della prospera industria estrattiva.
Il fiume Cuanza, che nasce a 1450 metri di altitudine dall'Altopiano di Bié e dopo un corso dalla lunghezza di circa 900 chilometri sfocia nell'Atlantico, per lungo tratto navigabile, trasportava nella sua corrente preziosi diamanti: i Portoghesi perciò decisero di occupare la zona che prospettava ricchezze e di farne anche uno scalo per il mercato degli schiavi. Il triste, drammatico e disumano capitolo della deportazione, che sembra non aver mai fine in questo nostro mondo, ebbe in quei luoghi uno dei più gravi momenti: si voleva decimare un'intera popolazione da inviare nelle piantagioni brasiliane per rendere il territorio libero dagli autoctoni e meglio sfruttarlo a proprio interesse. Tutto in nome di sua maestà Giovanni II, re del Portogallo.
Quelle terre appartenevano al regno di Matamba-Ndongo, un regno molto prospero e potente, che controllava vasti territori, dei quali molti erano ad esso vincolati da rapporti di vassallaggio. Cão aveva rapito anche alcuni membri della nobiltà del regno, portandoli come prigionieri in Portogallo e due anni dopo li aveva ricondotti indietro, ottenendo che il re Nzinga a Nkuwu acconsentisse a convertirsi al cristianesimo. Ma dopo varie vicende che testimoniano da una parte i tentativi di completa ( persino religiosa!) sottomissione degli Angolani, dall'altra quelli di, sia pure con fasi alterne, adattarsi nel modo più dignitoso possibile alle prepotenze dei nuovi arrivati, nel 1575 scoppiò la ribellione contro gli oppressori europei.
Per più di un secolo infuriò la lotta tra i portoghesi armati di moschetto e gli Angolani solo di arco e frecce, ma di grande coraggio! E mentre le province costiere capitolavano una alla volta, costrette ad arrendersi alla soverchiante forza di armi più potenti, il territorio del Matamba, la cui resistenza è ancor oggi motivo di orgoglio per gli Africani, metteva a durissima prova gli aggressori. Qui, nel 1617, il re, che alla morte del padre, aveva usurpato il regno al fratello designato, volle tentare un'azione gloriosa nei confronti dei Portoghesi, inviando contro di loro trentamila guerrieri: ne seguì un massacro, una disastrosa sconfitta.
Fu in quella tragica occasione che la regina "Ngola Mbandi Nzinga Bandi Kia Ngola" ( ossia: “la cui freccia raggiunge sempre l’obiettivo”) iniziò la sua gloriosa, leggendaria, azione eroica. Fu infatti inviata a negoziare il trattato di pace con i Portoghesi.
Ma
la giovane aristocratica, come altre figlie di sovrani di ogni parte
del mondo, aveva ricevuto dal re suo padre un'educazione che la
rendeva accorta ed abile al governo come si addice ad un "uomo
di Stato" e pertanto si presentò ai Portoghesi in tutta la
dignità del suo rango. In lettiga, scortata da cortigiani ed uomini
armati, con in testa la sua corona d’oro massiccio incastonata di
pietre preziose e sormontata da un ciuffo di pietre dai vivi colori,
con lo sguardo indifferente alla curiosità di coloro che in massa
erano venuti per vederla, Anne si presentò a Luanda e con i suoi
occhi attenti ora scrutava ed osservava ogni cosa. La città le si
presentava ormai trasformata: simile ad una città europea, possedeva
chiese e quartieri dalle case in legno dall'aspetto elegante, ornate
di balconi fioriti, vicoli affollati di gente, anche di mulatti, e
negozi colmi di mercanzie, ma anche hangar che radunavano schiavi in
massa da inviare stipati nelle navi alle colonie americane, mentre
altri neri ostentavano la loro agiatezza con i loro abiti
occidentali!
Ma non dovette sfuggire al suo sguardo attento e sensibile l'espressione di rassegnazione della maggior parte del suo popolo ormai ridotto in schiavitù e/o in servitù. Il porto di Luanda era considerato non a torto uno dei più feroci porti di tratta. Anne ne vedeva ora tutta la drammatica ferocia: marinai portoghesi, spagnoli, italiani, olandesi, indaffarati a imbarcare senza riguardo centinaia di schiavi allineati, negrieri bianchi e i loro aiutanti afrobrasiliani, sulla banchina, a controllare l'imbarco, gli schiavi ammassati come mandrie di animali, malnutriti, maltrattati, fustigati .... Quali sentimenti si saranno agitati nel suo animo nobile per rango e ancor di più per natura?
Ma non dovette sfuggire al suo sguardo attento e sensibile l'espressione di rassegnazione della maggior parte del suo popolo ormai ridotto in schiavitù e/o in servitù. Il porto di Luanda era considerato non a torto uno dei più feroci porti di tratta. Anne ne vedeva ora tutta la drammatica ferocia: marinai portoghesi, spagnoli, italiani, olandesi, indaffarati a imbarcare senza riguardo centinaia di schiavi allineati, negrieri bianchi e i loro aiutanti afrobrasiliani, sulla banchina, a controllare l'imbarco, gli schiavi ammassati come mandrie di animali, malnutriti, maltrattati, fustigati .... Quali sentimenti si saranno agitati nel suo animo nobile per rango e ancor di più per natura?
Nel
palazzo del Governatore Zingha fu ricevuta dallo stesso Viceré Don
João Correia Da Souza. Una poltrona di velluto rosso e per terra due
cuscini di broccato e d'oro: non vi erano dubbi: l'una per il Viceré,
gli altri per lei. L'umiliazione era evidente. Ad un suo cenno, una
delle sue ancelle fece col proprio dorso una poltrona che, mentre gli
astanti ammutolivano per la lezione che lei stava dando loro,
l'accolse durante tutto il tempo delle trattative. Gli stessi
Portoghesi tramandano che nel colloquio che seguì, Zingha diede
costante prova di prontezza e abilità politica senza mai cedere,
riuscendo invece ad ottenere l’arretramento delle truppe straniere
fuori dalle frontiere precedentemente riconosciute e il rispetto
della sovranità di Matamba. E quando il Vicerè suggerì che il
Matamba si ponesse sotto la protezione del Portogallo, avendo subito
inteso che questo avrebbe comportato un pagamento consistente nella
consegna di 12/13 mila persone come schiavi, Zingha rispose, facendo
rimarcare che se anche i Portoghesi fossero in possesso di una
cultura sconosciuta al suo popolo, questo era nelle proprie terre e
possedeva ricchezze proprie, che il re portoghese non avrebbe mai
potuto donare al suo e che se pure, costretto dagli eventi, il
Matamba avrebbe pagato il suo tributo, l'anno seguente avrebbe
ripreso la lotta per la propria libertà.
Così, pare che la futura regina abbia concluso il suo dire con l'invito ad accontentarsi di quanto il suo popolo potesse dare ai vincitori.
Così, pare che la futura regina abbia concluso il suo dire con l'invito ad accontentarsi di quanto il suo popolo potesse dare ai vincitori.
Nel
1624 Zingha divenne regina, succedendo al fratello. Per trent'anni
resistette all'esercito portoghese: riunì tutti i popoli vicini e si
fece dei nuovi alleati con la promessa di terre e di ricompense,
riorganizzò l'esercito addestrandolo anche nelle tecniche di
resistenza, secondo quanto aveva imparato dagli stessi occidentali,
fece largo uso della polizia segreta spiando le mosse dell'avversario
e osservando i movimenti di merci e di armi nel porto di Luanda,
utilizzò persino l'avvicendarsi del ritmo delle stagioni, sferrando
i suoi attacchi alle forze nemiche soprattutto durante i periodi in
cui erano maggiormente stremati dalle febbri malariche. Fiaccò,
prostrò le forze portoghesi fisicamente e moralmente e fino all'età
di 73 anni lei stessa condusse le sue truppe attraverso montagne,
foreste, savane... fino a quando il nuovo governatore Salvador
Corréia, essendosi reso conto che questo forte e ben organizzato
sbarramento era per ora inaccessibile e che volerlo sfondare avrebbe
significato prolungare ancora per molto tempo una guerra logorante e
non vantaggiosa per nessuna delle due parti, decise di firmare un
accordo: il 24 novembre 1657 cessarono i combattimenti e finalmente
ritornò la pace.
Durante
la quale Zingha si adoperò in ogni campo per la ricostruzione ed il
potenziamento del suo regno: diede nuovo impulso alle attività
agricole, procedette a riorganizzare i vari settori della vita
pubblica e, cosa che va sottolineata, in questo, affidò a molte
donne importanti compiti di responsabilità.
Quando,
all'età di 82 anni, il 17 dicembre 1664, concluse la sua vita ,
questa donna e regina la cui volontà e la cui dignità non
incontrarono mai ripensamenti né esitazioni benché minime, si
racconta che abbia confessato, poco prima di liberare la sua anima
dai vincoli terrestri, l'unico suo grande dolore: quello di non aver
potuto lasciare al suo popolo un erede che lo governasse, dato che il
suo unico figlio era stato fatto uccidere da suo fratello quando il
piccolo era ancora un lattante.
Ringraziamo
la scrittrice Sylvia Serbin, che per sua gentile concessione ha
lasciato che venisse pubblicata la storia di Anne Zingha, regina
d’Angola, dalla quale storia abbiamo ricavato le suddette notizie,
che accentuano il nostro interesse per il continente africano e la
nostra ammirazione nei confronti delle grandi personalità femminili
che arricchiscono la storia dei popoli.
© rosalia de vecchi
Nessun commento:
Posta un commento