"Esiste una stella che unisce le anime di prima grandezza, benché età e distanze le separino."
Cristina di Svezia
Era il 18 dicembre 1626: a Stoccolma nasceva una bambina che sarebbe divenuta una delle più interessanti ed originali figure femminili della storia moderna europea: Cristina di Svezia.
Alla sua nascita si dice che il padre abbia esclamato: “Questa bambina varrà quanto un uomo”, dimostrando molto intuito paterno ma scarso senso dell’individualità, la cui forza e il cui genio non dipendono dal sesso, quanto invece dalla configurazione dello spirito.
Cristina fu regina già a soli sei anni, quando il padre, il grande Gustavo Adolfo, morì in combattimento durante la Guerra dei Trent’anni. Già da due anni, consapevole dei rischi dei campi di battaglia, il re aveva nominato reggente il conte Axel Oxenstierna, uno tra i migliori statisti dell’epoca, del quale la stessa Cristina scrisse poi che possedeva un’immensa cultura, coltivata fin dalla giovinezza, che era ambizioso ma fedele e incorruttibile, silenzioso e lento ma profondissimo ed acuto conoscitore degli eventi mondiali. Quando nel 1644 Cristina, ormai diciottenne, assunse il potere, dimostrò consapevolezza del suo alto compito e si ritenne adatta a governare quel bellissimo paese, vibrante, la cui popolazione cresceva, ma soffriva per le guerre e per la povertà. La cosa che più costantemente le sia stata a cuore fu il raggiungimento e il mantenimento della pace. Per questo motivo accolse con sollievo gli esiti della Pace di Westfalia. Forse perché educata in stile virile, trascurava l’aspetto esteriore, gli ornamenti, gli abiti sontuosi, e preferiva un abbigliamento comodo e sportivo, di taglio maschile, le piaceva cavalcare, cacciare e voleva essere precisa e pronta nella mira, abbattere la preda in un sol colpo; infatti diceva di non aver mai ucciso un animale senza averne provato pietà. Possedeva molta autocritica e ammetteva i propri difetti, confessandosi diffidente, sospettosa, eccessivamente ambiziosa, orgogliosa e sdegnosa, impaziente e collerica, ma si riconosceva generosa e persino prodiga, e soprattutto fedele ai propri compiti di regina. Non si riteneva bella e si descriveva dotata fin dalla nascita di una voce aspra e forte, di una capigliatura folta, ma Pierre Huet, vescovo di Avranches dice di lei che aveva “un volto raffinato e grazioso, i capelli d’oro, gli occhi lampeggianti” e che la modestia che la contraddistingueva la rendeva ancor più attraente. Cristina rifiutò il matrimonio, nonostante le insistenze della corte che voleva indurla a considerare le necessità impostale dal trono, quale quella, prioritaria, della discendenza. Come la grande Elisabetta I, anche Cristina percepiva il matrimonio come un pericolo per la propria libertà ma soprattutto per quella del regno. Perciò, o forse anche per altri motivi, sui quali gli storici ancora oggi non concordano, nel 1649, nominò principe ereditario il cugino Gustavo Adolfo. Pur nella sua totale dedizione alla cura degli affari di Stato, la sua grande passione fu sempre la cultura. Dotata di grande intelligenza, era avida di sapere, coltissima (la sua educazione era stata molto accurata fin dalla più tenera età), conosceva sette lingue, tra cui il greco, l’arabo, l’ebraico, parlava in latino, leggeva i poeti italiani, che le piacevano tanto e apprezzava la brillante vivacità di quelli francesi, teneva una fitta corrispondenza con numerose personalità del mondo culturale contemporaneo, sia letterario che filosofico, e scientifico. Organizzò una grande biblioteca, facendovi affluire testi pervenuti da ogni parte del mondo. Altrettanto fece con le opere d’arte, allestendone una pregevole collezione. Chiamò a corte uomini quali Ugo Grozio, Isaac Vossio …e avrebbe voluto farne convenire altri, con i quali dovette invece accontentarsi di avere una fitta corrispondenza. Essa stessa amava partecipare alle conversazioni filosofiche, dato che andò elaborando un proprio pensiero. Gassendi, che ebbe un interessante carteggio con la regina, si congratulava con lei per la sua creativa lettura di Platone e il grande Descartes, con il quale Cristina corrispondeva da tempo, soprattutto sulla questione per lei di capitale importanza, quella del libero arbitrio e delle scelte esistenziali che ne dipendono, e che la regina volle a Stoccolma, perché diventasse suo maestro di filosofia e di matematica, si stupì nel sentirla disquisire intorno al pensiero platonico. Purtroppo, però, per Descartes, il rigido inverno svedese, le lezioni quotidiane alle cinque del mattino, furono causa di una polmonite mortale. Fu grande la tristezza di questo evento, del quale Cristina rimase molto turbata, anche apparve distratta da altre preoccupazioni.
Del soggiorno del filosofo presso la regina, si racconta un divertente aneddoto. Quando, una volta, Descartes volle convincerla che gli animali sono meccanismi, la regina gli fece osservare che non aveva mai veduto un orologio mettere al mondo degli orologini.
Un altro grande che la regina volle a Stoccolma fu il pedagogo Giovanni Comenio, cui diede l’incarico di riformare il sistema scolastico e lei stessa in persona si recò a Uppsala per incoraggiare maestri e discepoli, fondò collegi anche in Finlandia e mandò studiosi in Arabia per imparare l’insegnamento orientale, importò stampatori dall’Olanda per impiantare una casa editrice a Stoccolma, esortò i dotti a scrivere in volgare affinché i loro scritti venissero compresi anche dal popolo….
Fu senza dubbio una regina illuminata e soprattutto nell’arte di governare operò da sola le sue scelte e fu decisa. Di lei restano molte massime, quali ad esempio: “Ci vuole più coraggio a sposarsi che a fare la guerra” o anche : “ Colui che s’ adira col mondo, non trae profitto di tutto quello che ha appreso.” La sua fama di donna dalla singolare personalità e dalla grande cultura le procurò l’ammirazione della poetessa messicana Juana Inés de la Cruz, la suora poetessa che in pieno seicento scriveva: ”Stolti uomini che accusate / la donna senza ragione, / ignari di esser cagione / de le colpe che le date; /… / io molti argomenti fondo / contro le vostre arroganze, / ché unite in promessa e istanze / l’inferno, la carne e il mondo.”.
Nell’estate del 1651, Cristina abbandonò il protestantesimo e diventò cattolica. Questa decisione, tra le cui varie interpretazioni c’è anche quella della simulazione, forse invece trova le sue origini in quegli stessi elementi mistici rintracciabili nelle sue Memorie, tutte intimamente rivolte a Dio. O in quello stesso scetticismo, che, spinto all’estremo, individua la sua protezione nella Fede. E il Cattolicesimo, più ancora del Cristianesimo, è la religione che consola il cuore, che parla al popolo. “Come si può essere cristiani senza essere cattolici? “ era la domanda di Cristina.
Durante gli anni che precedettero la sua conversione, Cristina era malata: soffriva di febbri pericolose, con sintomi d’infiammazione polmonare, sveniva e rimaneva senza conoscenza per un’ora. Durante il suo stato di grave malattia, lei stessa raccontò, dopo, di aver fatto voto di convertirsi al Cattolicesimo. Ma anche i conflitti createsi con una parte dell’aristocrazia, i tentativi di rivolta, le esecuzioni, la situazione tesa, ebbero certo un loro peso nella decisione di Cristina, che sognava ormai climi più miti, cieli d’Italia e salotti di donne colte in Francia. Assicuratasi l’appoggio e la protezione del Papa, di luigi XIV e di Filippo IV, il 6 giugno 1654 nel castello reale di Uppsala, Cristina abdica in favore del cugino Carlo Gustavo von Zweibrücken. Deponendo la corona, Cristina rinunciava ad ogni diritto sul trono svedese, ma le vennero assegnati alcuni territori e il mantenimento di uno stile di vita confacente alla sua trascorsa dignità. In quella occasione i dignitari votarono una legge in base alla quale le donne non potevano più diventare regine, legge che tre secoli dopo, nel 1980, Carl Gustav XVI, ha mutato affinché in futuro possa regnare Victoria, la figlia primogenita, nata nel 1977.
Cinque giorni dopo l’abdicazione Cristina , al tramonto, lasciò Stoccolma, si fermò per l’ultima visita alla madre, travestita da uomo si recò in Danimarca ed infine si stabilì a Roma, dove fu accolta con entusiasmo ed ospitata in Vaticano; poi si trasferì a Palazzo Farnese e, acquistato un palazzo alla Lungara, dove raccolse il suo patrimonio artistico culturale (la biblioteca e la raccolta di opere artistiche, che oggi appartengono al Vaticano) lo trasformò in un cenacolo di artisti letterati scienziati, dal quale doveva nascere uno dei primi nuclei dell’Arcadia. Si dedicò anche a studi di alchimia, chimica e astrologia. Sembra quasi che le sue scelte siano state dettate più che altro dalla sconfinata passione per il sapere, che l’ha spinta a cercare un ambiente culturale più interessante e ricco come quello di Roma rispetto alla sua Stoccolma. Cristina di Svezia, una regina della quale si è scritto tanto, della quale si è parlato, a torto o a ragione, di presunti amori e si è sottolineata l’originalità dei comportamenti, la cui personalità ha trovato un’interprete d’eccezione in Greta Garbo, è soprattutto uno spirito libero, che, indipendentemente dal suo essere donna, ci è esempio di chiarezza d’intenti, serietà di ricerca, senso di responsabilità nell’aderire ai compiti che il destino ci pone innanzi, capacità di configurare l’ambiente nel quale poter realizzare se stessi.
© rosalia de vecchi
Cristina di Svezia
Era il 18 dicembre 1626: a Stoccolma nasceva una bambina che sarebbe divenuta una delle più interessanti ed originali figure femminili della storia moderna europea: Cristina di Svezia.
Alla sua nascita si dice che il padre abbia esclamato: “Questa bambina varrà quanto un uomo”, dimostrando molto intuito paterno ma scarso senso dell’individualità, la cui forza e il cui genio non dipendono dal sesso, quanto invece dalla configurazione dello spirito.
Cristina fu regina già a soli sei anni, quando il padre, il grande Gustavo Adolfo, morì in combattimento durante la Guerra dei Trent’anni. Già da due anni, consapevole dei rischi dei campi di battaglia, il re aveva nominato reggente il conte Axel Oxenstierna, uno tra i migliori statisti dell’epoca, del quale la stessa Cristina scrisse poi che possedeva un’immensa cultura, coltivata fin dalla giovinezza, che era ambizioso ma fedele e incorruttibile, silenzioso e lento ma profondissimo ed acuto conoscitore degli eventi mondiali. Quando nel 1644 Cristina, ormai diciottenne, assunse il potere, dimostrò consapevolezza del suo alto compito e si ritenne adatta a governare quel bellissimo paese, vibrante, la cui popolazione cresceva, ma soffriva per le guerre e per la povertà. La cosa che più costantemente le sia stata a cuore fu il raggiungimento e il mantenimento della pace. Per questo motivo accolse con sollievo gli esiti della Pace di Westfalia. Forse perché educata in stile virile, trascurava l’aspetto esteriore, gli ornamenti, gli abiti sontuosi, e preferiva un abbigliamento comodo e sportivo, di taglio maschile, le piaceva cavalcare, cacciare e voleva essere precisa e pronta nella mira, abbattere la preda in un sol colpo; infatti diceva di non aver mai ucciso un animale senza averne provato pietà. Possedeva molta autocritica e ammetteva i propri difetti, confessandosi diffidente, sospettosa, eccessivamente ambiziosa, orgogliosa e sdegnosa, impaziente e collerica, ma si riconosceva generosa e persino prodiga, e soprattutto fedele ai propri compiti di regina. Non si riteneva bella e si descriveva dotata fin dalla nascita di una voce aspra e forte, di una capigliatura folta, ma Pierre Huet, vescovo di Avranches dice di lei che aveva “un volto raffinato e grazioso, i capelli d’oro, gli occhi lampeggianti” e che la modestia che la contraddistingueva la rendeva ancor più attraente. Cristina rifiutò il matrimonio, nonostante le insistenze della corte che voleva indurla a considerare le necessità impostale dal trono, quale quella, prioritaria, della discendenza. Come la grande Elisabetta I, anche Cristina percepiva il matrimonio come un pericolo per la propria libertà ma soprattutto per quella del regno. Perciò, o forse anche per altri motivi, sui quali gli storici ancora oggi non concordano, nel 1649, nominò principe ereditario il cugino Gustavo Adolfo. Pur nella sua totale dedizione alla cura degli affari di Stato, la sua grande passione fu sempre la cultura. Dotata di grande intelligenza, era avida di sapere, coltissima (la sua educazione era stata molto accurata fin dalla più tenera età), conosceva sette lingue, tra cui il greco, l’arabo, l’ebraico, parlava in latino, leggeva i poeti italiani, che le piacevano tanto e apprezzava la brillante vivacità di quelli francesi, teneva una fitta corrispondenza con numerose personalità del mondo culturale contemporaneo, sia letterario che filosofico, e scientifico. Organizzò una grande biblioteca, facendovi affluire testi pervenuti da ogni parte del mondo. Altrettanto fece con le opere d’arte, allestendone una pregevole collezione. Chiamò a corte uomini quali Ugo Grozio, Isaac Vossio …e avrebbe voluto farne convenire altri, con i quali dovette invece accontentarsi di avere una fitta corrispondenza. Essa stessa amava partecipare alle conversazioni filosofiche, dato che andò elaborando un proprio pensiero. Gassendi, che ebbe un interessante carteggio con la regina, si congratulava con lei per la sua creativa lettura di Platone e il grande Descartes, con il quale Cristina corrispondeva da tempo, soprattutto sulla questione per lei di capitale importanza, quella del libero arbitrio e delle scelte esistenziali che ne dipendono, e che la regina volle a Stoccolma, perché diventasse suo maestro di filosofia e di matematica, si stupì nel sentirla disquisire intorno al pensiero platonico. Purtroppo, però, per Descartes, il rigido inverno svedese, le lezioni quotidiane alle cinque del mattino, furono causa di una polmonite mortale. Fu grande la tristezza di questo evento, del quale Cristina rimase molto turbata, anche apparve distratta da altre preoccupazioni.
Del soggiorno del filosofo presso la regina, si racconta un divertente aneddoto. Quando, una volta, Descartes volle convincerla che gli animali sono meccanismi, la regina gli fece osservare che non aveva mai veduto un orologio mettere al mondo degli orologini.
Un altro grande che la regina volle a Stoccolma fu il pedagogo Giovanni Comenio, cui diede l’incarico di riformare il sistema scolastico e lei stessa in persona si recò a Uppsala per incoraggiare maestri e discepoli, fondò collegi anche in Finlandia e mandò studiosi in Arabia per imparare l’insegnamento orientale, importò stampatori dall’Olanda per impiantare una casa editrice a Stoccolma, esortò i dotti a scrivere in volgare affinché i loro scritti venissero compresi anche dal popolo….
Fu senza dubbio una regina illuminata e soprattutto nell’arte di governare operò da sola le sue scelte e fu decisa. Di lei restano molte massime, quali ad esempio: “Ci vuole più coraggio a sposarsi che a fare la guerra” o anche : “ Colui che s’ adira col mondo, non trae profitto di tutto quello che ha appreso.” La sua fama di donna dalla singolare personalità e dalla grande cultura le procurò l’ammirazione della poetessa messicana Juana Inés de la Cruz, la suora poetessa che in pieno seicento scriveva: ”Stolti uomini che accusate / la donna senza ragione, / ignari di esser cagione / de le colpe che le date; /… / io molti argomenti fondo / contro le vostre arroganze, / ché unite in promessa e istanze / l’inferno, la carne e il mondo.”.
Nell’estate del 1651, Cristina abbandonò il protestantesimo e diventò cattolica. Questa decisione, tra le cui varie interpretazioni c’è anche quella della simulazione, forse invece trova le sue origini in quegli stessi elementi mistici rintracciabili nelle sue Memorie, tutte intimamente rivolte a Dio. O in quello stesso scetticismo, che, spinto all’estremo, individua la sua protezione nella Fede. E il Cattolicesimo, più ancora del Cristianesimo, è la religione che consola il cuore, che parla al popolo. “Come si può essere cristiani senza essere cattolici? “ era la domanda di Cristina.
Durante gli anni che precedettero la sua conversione, Cristina era malata: soffriva di febbri pericolose, con sintomi d’infiammazione polmonare, sveniva e rimaneva senza conoscenza per un’ora. Durante il suo stato di grave malattia, lei stessa raccontò, dopo, di aver fatto voto di convertirsi al Cattolicesimo. Ma anche i conflitti createsi con una parte dell’aristocrazia, i tentativi di rivolta, le esecuzioni, la situazione tesa, ebbero certo un loro peso nella decisione di Cristina, che sognava ormai climi più miti, cieli d’Italia e salotti di donne colte in Francia. Assicuratasi l’appoggio e la protezione del Papa, di luigi XIV e di Filippo IV, il 6 giugno 1654 nel castello reale di Uppsala, Cristina abdica in favore del cugino Carlo Gustavo von Zweibrücken. Deponendo la corona, Cristina rinunciava ad ogni diritto sul trono svedese, ma le vennero assegnati alcuni territori e il mantenimento di uno stile di vita confacente alla sua trascorsa dignità. In quella occasione i dignitari votarono una legge in base alla quale le donne non potevano più diventare regine, legge che tre secoli dopo, nel 1980, Carl Gustav XVI, ha mutato affinché in futuro possa regnare Victoria, la figlia primogenita, nata nel 1977.
Cinque giorni dopo l’abdicazione Cristina , al tramonto, lasciò Stoccolma, si fermò per l’ultima visita alla madre, travestita da uomo si recò in Danimarca ed infine si stabilì a Roma, dove fu accolta con entusiasmo ed ospitata in Vaticano; poi si trasferì a Palazzo Farnese e, acquistato un palazzo alla Lungara, dove raccolse il suo patrimonio artistico culturale (la biblioteca e la raccolta di opere artistiche, che oggi appartengono al Vaticano) lo trasformò in un cenacolo di artisti letterati scienziati, dal quale doveva nascere uno dei primi nuclei dell’Arcadia. Si dedicò anche a studi di alchimia, chimica e astrologia. Sembra quasi che le sue scelte siano state dettate più che altro dalla sconfinata passione per il sapere, che l’ha spinta a cercare un ambiente culturale più interessante e ricco come quello di Roma rispetto alla sua Stoccolma. Cristina di Svezia, una regina della quale si è scritto tanto, della quale si è parlato, a torto o a ragione, di presunti amori e si è sottolineata l’originalità dei comportamenti, la cui personalità ha trovato un’interprete d’eccezione in Greta Garbo, è soprattutto uno spirito libero, che, indipendentemente dal suo essere donna, ci è esempio di chiarezza d’intenti, serietà di ricerca, senso di responsabilità nell’aderire ai compiti che il destino ci pone innanzi, capacità di configurare l’ambiente nel quale poter realizzare se stessi.
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