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lo t'
amo, t' amo. Oh, ch' altra donna mai
Non sussurri al tuo cor questa parola…”
Non sussurri al tuo cor questa parola…”
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Avrai tutto, lo
giuro. Ed io frattanta
Gioie da questo amor non cerco o aspetto,
Che infiorino il cammin de la mia vita.
Gioie da questo amor non cerco o aspetto,
Che infiorino il cammin de la mia vita.
Anzi, se tu mi sei cagion di pianto,
Dirò, piegando il capo in su 'l tuo petto:
Io scherzai con l' amore: ei m' ha punita.”
Evelina
Cattermole
Versi da “On ne
badine pas avec l’amour”
Eveline Cattermole, in arte Contessa Lara. Una poetessa, una scrittrice
dotata di talento, una giornalista di orientamento democratico e prima
giornalista iscritta all’albo, una donna avvenente, dalla “bellezza
conturbante”, ricca di fascino e di anticonformismo, cui molti guardarono con
ammirazione, riconoscendone lo spirito libero ed indipendente da anticipatrice dell’emancipazione
femminile e che altri, invece, con ottuso sguardo di moralistico giudizio,
vollero vedere come una donna dai facili costumi, che con la sua condotta
“scandalosa” aveva osato varcare i limiti della condizione femminile,
costituendo un cattivo esempio, e dunque un pericolo, per le tradizioni e i
costumi di una società dominata dal maschio.
Di padre scozzese e di madre russa, Evelina Cattermole nacque a
Firenze nel 1849, anche se lei diceva di
essere nata in Provenza; fu molto precoce e infatti fin da piccola conobbe la
musica e le lingue straniere; già a 18 anni scriveva la sua prima raccolta di
poesie, dedicate per lo più ai famigliari e
intitolata “Odi e Ghirlande”. Presto fu introdotta nei salotti più in
vista. Incontrò il tenente dei bersaglieri Francesco Saverio Eugenio Mancini: i
due s’innamorarono e si sposarono nel 1871, nonostante l’accesa opposizione
della madre di lui che in Eveline , invece che la donna tranquilla e ricca che
avrebbe desiderato per il figlio, preferì vedere una donna che per la sua
conturbante bellezza e l’eccessivo amore per la vita lo avrebbe reso infelice.
La giovane coppia
soggiornò per breve tempo a Roma, poi a Napoli ed infine si trasferì a Milano;
qui il fascino e l’intelligenza di Eveline brillarono nei salotti che
frequentava, tra cui quello prestigioso di casa Maffei e i circoli della
Scapigliatura, dove conobbe Emilio Praga, Arrigo Boito, Giuseppe Rovani ed
Eugenio Torelli-Violler, fondatore del Corriere della sera, e, creatosi poi un
gruppo di propri ammiratori, ne tenne
lei stessa uno, mentre il marito cominciò a trascurarla e a dedicare
troppo del suo tempo al gioco e alle donne. Fu così che Eveline s’innamorò del
giovane veneziano Giuseppe Bennati Baylon, presentatole dal marito stesso. Scoperta
la loro relazione, forse anche per la segnalazione di qualcuno vicino ad
Eveline, Eugenio sfidò in duello ed uccise il giovane Baylon. Scoppiò lo
scandalo. Evelina diventò il centro di un’accesa polemica: i giornali ebbero di che parlare, con perfida
soddisfazione di tutti coloro, soprattutto le donne, che avevano motivi per
essere invidiosi di lei. Il processo assolse Eugenio Mancini per omicidio d’onore.
Ne seguì il divorzio e l’espulsione di Eveline dalla casa di Milano. A Firenze,
nemmeno il padre, che nel frattempo si era risposato, la volle con sé, poiché,
con il suo comportamento “aveva infangato il buon nome della famiglia”. In
silenzioso anonimato Evelina si recò a Milano per assistere ai funerali di
Giuseppe, tagliò, -dicono-, le sue folte trecce e le depose sulla tomba, poi
cercò e trovò rifugio presso la nonna, a Firenze. Ma, come ben mette in
evidenza Brunella Schisa, nel suo libro su di lei, “Dopo ogni abbandono”, nel momento della
prova, in cui in molti le voltano le spalle e in cui si trova di colpo
nell’indigenza economica, Eveline dimostra tutta la forza di vita e la
determinazione a non soccombere, di cui le donne, con le loro azioni, spesso
sono testimonianza e, a 24 anni, in una società che non concepisce che una
donna sola possa provvedere a se stessa, grazie
alle sue qualità di scrittrice e
giornalista, ottiene la collaborazione ad una ventina di giornali, e
sotto lo pseudonimo di Contessa Lara scrive versi, novelle, romanzi. Poco alla
volta riconquista una posizione d’eccezione nei salotti e nella società colta. Si
riconciliò con il padre. Ebbe, però, in quegli stessi anni, il grande dolore
della morte della nonna. E conobbe il
poeta Mario Rapisardi, con il quale stabilì un profondissimo legame di
amicizia, ritenuto da alcuni anche qualcosa di più, da Eveline mai dichiarato se
non come amicizia. Espressioni come “Io vi ho dinanzi a questo eterno
conquistatore dell'anima che si chiama l'Amore. Ho inclinato la fronte dinanzi
a lui, e ho ripetuto piangendo il suo nome.", che si leggono in una
lettera che il Rapisardi spedì ad Eveline, da Milano, nell’ottobre 1876,
potrebbero, certo, far supporre che lui fosse innamorato della contessa, ma
l’espressione precedente “…. nessuna, nessuna vi somiglia. E questo mi piace.
Se ci fosse una donna che osasse somigliarvi anche poco, anche da lontano, io
vi vorrei meno bene.” non lascia dubbi sull’alta considerazione ch’egli ebbe di
questa donna dal destino sfortunato, ma ricca di talenti, perché bella ed
attraente, intelligente e capace, tanto da
far innamorare di sé molti uomini e da riscuotere ampio successo. Il Rapisardi, durante
quegli anni, la sostenne nell’attività di scrittrice e l’aiutò a riconquistare
un posto importante nei salotti in vista dell’epoca, dove Eveline ebbe modo di
conoscere personalità quali Carducci che poco apprezzò i suoi versi,
D’annnunzio che l’adulò e scrisse per lei una poesia, la Serao che le divenne
amica ma che alla sua morte non esitò a lasciar trapelare tra le righe di un
lusinghiero necrologio il livore del suo aspro giudizio e chissà forse anche
della propria invidia. Trasferitasi a Roma ed ormai pervenuta,
per la seconda volta, ad una condizione di benessere economico e di brillante frequentazione
dei salotti della mondanità e della cultura del suo tempo e, dopo aver vissuto
altri amori, dei quali lei stessa ammise “l’unico sereno della sua vita” fu quello
per Giovanni Alfredo Cesareo, un giovane redattore, con il quale convisse per
dieci anni, a 45 anni fece l’incontro che le fu fatale e che, prematuramente e
violentemente, mise fine alla sua vita: l’incontro con il pittore Giuseppe
Pierantoni, illustratore del suo libro “Romanzo della bambola”. Più giovane di
lei, forse sinceramente innamorato, almeno inizialmente, ma certamente
dall’indole violenta ed egoista, Giuseppe Pierantoni finì col fare di questa
relazione una situazione di comodo per sé e, quando Eveline, che nel frattempo
si era di nuovo innamorata con tutto l’ardore di cui la sua natura la rendeva
capace e con la freschezza e l’intensità di un amore nuovo dal sapore del
“colpo di fulmine”, sebbene anche questo presto destinato ad una dolorosa
separazione, la cui “straziante scena d’addio lei volle immortalare in versi, gli
rivelò la propria decisione di voler troncare il loro rapporto, divenuto peraltro
per lei ormai umiliante e pericoloso, egli, intenzionalmente o per caso, mosso
da passione secondo alcuni, da interesse secondo quanto ,- dicono -, Eveline
abbia più volte ripetuto in fin di vita, la ferì mortalmente con un colpo di
pistola, ponendo fine all’ancora giovane vita di una donna dalla personalità non comune in un’epoca di
fine ottocento, che alle libere scelte femminili opponeva ancora molte
resistenze di vario tipo e alla sua attività di scrittrice. Brillantemente
difeso, Giuseppe Pierantoni fu
condannato a soli undici anni circa di prigione. E molti furono quelli che ebbero
comprensione di lui e vollero vedere la causa primigenia del suo atto criminoso
nella condotta di lei; ma furono molti anche quelli che affollarono con la
propria presenza i funerali di Eveline, dimostrandole affetto sincero, tra cui
Capuana e Pirandello. Per una serie di circostanze, casuali o non,- è difficile
dirlo!- alle sue spoglie toccò una sepoltura povera, in una fossa comune al
Verano, nonostante il suo cospicuo patrimonio.
Alcuni narrano che prima del trapasso abbia confessato al
sacerdote di aver perdonato il suo uccisore e che pochi istanti prima di chiudere
gli occhi abbia sussurrato: “Dio, dammi pace!”.
Con occhi azzurri sognanti, dotata di grande charme, Eveline
Cattermole, la cui bellezza sconvolgente era fatta per la perdizione dell’uomo,
come fu detto in quegli anni di fine ottocento con una “mentalità di fine
ottocento”, una donna la cui forza fu diretta contro tutte le ipocrisie, come
vien detto oggi con una mentalità moderna da alcuni suoi studiosi, fu, malgrado i tanti amori, sola e, come
ci testimoniano i suoi scritti, non cessò mai di desiderare la famiglia, la
serenità, l’amore sensuale ed appassionato ma nel contempo stabile e veritiero,
vissuto secondo i modi tradizionali, nella sicurezza dell’ambiente domestico. Una
delle sue poesie la descrive vecchia accanto al fuoco insieme al suo
uomo in un’atmosfera serena. Ma non mancano, nella sua vasta opera poetica,
nelle novelle e nei romanzi sia l’attenzione affettuosa per il mondo delle
piccole cose reali sia il tema della morte collegato con l’amore,il senso della
fragilità della vita, l’angoscioso
presagio di morte violenta,il senso alquanto tormentato della religiosità. Affascinante e semplice al tempo stesso,
colta e splendente di femminilità, fragile e forte, ironica e sensuale, di gran
classe, capace di collaborare con il Corriere della sera, il Secolo XIX, il
Corriere di Roma…. anche con rubriche e cronache per signore… ma anche, come
afferma un grande storico della letteratura italiana quale fu Natalino Sapegno,
Eveline Cattermole, oltre ad essere stata un’abile scrittrice di versi secondo
il gusto dell’ “establishment borghese degli anni ottanta”, “merita una certa
rivalutazione, poiché raggiunge un’individualità stilistica non comune”, quando
con “poche e semplici parole”, usate nello stile dei romanzi passionali,
ottiene versi di “audace ma elementare sensualità”.
Si vuole, infine, rilevare, come altri hanno già fatto, il
significato dolorosamente profetico dello pseudonimo che Eveline volle
scegliere: Contessa Lara. Il Conte di Lara è il personaggio di Lord Byron il
cui nome significa “ consonanza di peccato e martirio”.
© rosalia de vecchi
N.B.:
Cronista,
redattrice, titolare di rubriche femminili (di moda, di costume, di bon ton, di
arredamento, di cuore, tra cui “Lettera aperta alle signore”, “Il Taccuino
femminile”, “Il Galateo della Signora”), fu tra le poche donne italiane ad
essere iscritte all’Albo della Stampa.
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