Il testamento
di
Robert Hamerling
Amo la fiamma,
immagine di fulgore,
nel balenar del lampo
nel luccichio di stelle.
L’etere amo,
il libero e divino,
dove passano i venti,
le aquile, le nubi.
Amo l’onda
che mormora
nel fluire anelante,
di contrada in contrada.
Amo la terra,
il verde benedetto
dov’è ameno l’andare
ma più dolce il sostare.
E muoio.
L’essere mio affido volentieri
agi elementi divenuti cari.
Lo spirito alla fiamma
l’anima all’etere
il cuore all’onda
il corpo alla terra.
Lo spirito divampi
l’anima si effonda
del cuore il moto
ancora mormori e risuoni
il corpo riposi.
Il poeta austriaco Robert Hamerling, uno dei
più notevoli della corrente austriaca moderna, nasce il 24 marzo del 1830 a
Kirchberg am Walde. La sua è una nascita di umili origini: il padre faceva il
sarto e la famiglia era povera. Ma, grazie all’aiuto di alcuni mecenati, che
intuirono in lui quella sensibilità intelligente, quel genio artistico che ne
avrebbero fatto un poeta, egli poté formarsi, frequentando il ginnasio di
Vienna.
E sempre a Vienna egli riuscì a portare
avanti i suoi studi, dedicandosi in particolar modo alla filosofia, alla storia
e alla medicina. Ma quelli erano anni di grandi trasformazioni e gli spiriti liberi
reclamavano mutamenti e riforme: Robert si unì ai “gruppi rivoluzionari
universitari”, fin da quel 1848, che non a torto il nostro Carducci volle
chiamare l’“anno dei portenti”. E il 1848, infatti, non fu l’anno dei portenti soltanto
per i fatti della nostra penisola, ma per tutti i fatti nuovi dell’intera
Europa, che, dalle barricate di Parigi immortalate da Victor Hugo alle
rivoluzioni scoppiate in Austria Germania, Italia, Ungheria, diedero voce alla ribellione
contro la politica dell’Ancien Régime.
In Austria gli studenti rivoluzionari
volevano la cacciata del Principe di Metternich dalla Cancelleria Imperiale: il
12 marzo 1848 invasero la sala della Cancelleria di Stato, mentre il Metternich
stava parlando ai professori universitari esortandoli a convincere gli studenti
alla calma e pronunciarono la petizione di Costituzione, libertà di stampa,
uguaglianza dei diritti civili e delle confessioni religiose. Uniti a molti
cittadini, operai ed ebrei, gli studenti, incuranti dell’intervento
dell’esercito, chiesero ed ottennero le dimissioni di quello che per
quarant’anni era stato l’arbitro della politica europea, il Principe di
Metternich, che, all’atto della firma delle sue dimissioni, dicono abbia così
commentato: “Non avrei potuto fare nulla per evitare le concessioni che ci
condurranno necessariamente alla rovina. Ho evitato così la vergogna di
sottoscriverle.”.
Questi importanti avvenimenti visse il
giovane Robert Hamerling, che l’anno dopo partecipò alla difesa della città
messa sotto assedio dall'esercito imperiale, che infine soffocò la rivolta.
Ma
egli dovette nascondersi per sfuggire alla cattura.
Ripresi, poi, i suoi studi di filosofia e di
scienze naturali, per un periodo insegnò lingue e letteratura classica a Vienna.
Si trasferì, dopo, a Trieste, dove dal 1855
al 1866 insegnò al liceo.
Per problemi di salute, si ritirò a Graz dove
morì nel 1889. Questo fu il periodo più fertile della sua carriera di
scrittore.
Tra
le sue opere ricordiamo Ahasver in Rom del 1866, da cui egli ricevette i
primi successi e che è una bella descrizione della Roma antica, in cui la figura
principale è quella di Nerone ed è anche l’opera più famosa; Venere in esilio,
composta durante il suo soggiorno triestino; Der König von Sion del
1869, che è ritenuta dai più il suo capolavoro; Amore e Psiche, il romanzo
Aspasia, la tragedia Danton e
Robespierre. Le migliori, tra le sue opere, sono quelle in cui lo scrittore si
manifesta più come genio artistico di ricca immaginazione che come descrittore
realistico di carattere. Più belli i tratti lirici, meno riuscite le opere di
teatro. Ma senza alcun dubbio egli fu anche un appassionato e raffinato
traduttore: dall’Italiano in particolar modo.
Tradusse i Canti di Leopardi nel 1856.
Nietzsche, che non provò mai a tradurre Leopardi, sebbene la sua opera
sia ricca di citazioni del poeta di Recanati da lui amato e ritenuto in grande
stima e che se mai preferiva parafrasarne qualche pensiero trasformandolo in un
nuovo aforisma, usò anche lui le traduzioni di Hamerling. Traduzioni di Leopardi, che peraltro, come ebbe a dire lo stesso Robert Hamerling, in questo periodo dell’Ottocento,
in cui la filosofia di Schopenhauer esercitava una notevole influenza sulla
cultura tedesca, in Germania cominciavano a trovare maggiore ascolto, date le
affinità tra i due. Per Hamerling il pessimismo di Schopenhauer era da
considerare quasi come una ripetizione di quello leopardiano; è a Leopardi
infatti che il poeta austriaco attribuisce un posto di primo piano nella
corrente del “dolore cosmico”, dello ‘Weltschmerz’, cui fanno parte un Lenau,
uno Heine… E soprattutto egli volle dimostrare che Leopardi con Petrarca, Dante, Michelangelo sono i
grandi geni che rivelano un’Italia non solo culla non del genio artistico, ma
addirittura del “sublime”. Questa sua
concezione dell’arte italiana in genere, e di Leopardi in particolare, lo portò
a scegliere, nella traduzione dei canti leopardiani, termini tedeschi più
ricercati rispetto a quelli apparentemente più “semplici”, di uso quotidiano,
usati da Leopardi, cosa che è da considerare un limite del suo lavoro di
traduzione, poiché talora lo conduce a modificare il senso stesso della poesia
leopardiana.
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