martedì 1 luglio 2014

testamento di Robert Hamerling

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Il testamento

di

Robert Hamerling

Amo la fiamma,
immagine di fulgore,
nel balenar del lampo
nel luccichio di stelle.

L’etere amo,
il libero e divino,
dove passano i venti,
le aquile, le nubi.

Amo l’onda
che mormora
nel fluire anelante,
di contrada in contrada.

Amo la terra,
il verde benedetto
dov’è ameno l’andare
ma più dolce il sostare.

E muoio.
L’essere mio affido volentieri
agi elementi divenuti cari.

Lo spirito alla fiamma
l’anima all’etere
il cuore all’onda
il corpo alla terra.

Lo spirito divampi
l’anima si effonda
del cuore il moto
ancora mormori e risuoni
il corpo riposi.

 
Il poeta austriaco Robert Hamerling, uno dei più notevoli della corrente austriaca moderna, nasce il 24 marzo del 1830 a Kirchberg am Walde. La sua è una nascita di umili origini: il padre faceva il sarto e la famiglia era povera. Ma, grazie all’aiuto di alcuni mecenati, che intuirono in lui quella sensibilità intelligente, quel genio artistico che ne avrebbero fatto un poeta, egli poté formarsi, frequentando il ginnasio di Vienna.
E sempre a Vienna egli riuscì a portare avanti i suoi studi, dedicandosi in particolar modo alla filosofia, alla storia e alla medicina. Ma quelli erano anni di grandi trasformazioni e gli spiriti liberi reclamavano mutamenti e riforme: Robert si unì ai “gruppi rivoluzionari universitari”, fin da quel 1848, che non a torto il nostro Carducci volle chiamare l’“anno dei portenti”. E il 1848, infatti, non fu l’anno dei portenti soltanto per i fatti della nostra penisola, ma per tutti i fatti nuovi dell’intera Europa, che, dalle barricate di Parigi immortalate da Victor Hugo alle rivoluzioni scoppiate in Austria Germania, Italia, Ungheria, diedero voce alla ribellione contro la politica dell’Ancien Régime.
In Austria gli studenti rivoluzionari volevano la cacciata del Principe di Metternich dalla Cancelleria Imperiale: il 12 marzo 1848 invasero la sala della Cancelleria di Stato, mentre il Metternich stava parlando ai professori universitari esortandoli a convincere gli studenti alla calma e pronunciarono la petizione di Costituzione, libertà di stampa, uguaglianza dei diritti civili e delle confessioni religiose. Uniti a molti cittadini, operai ed ebrei, gli studenti, incuranti dell’intervento dell’esercito, chiesero ed ottennero le dimissioni di quello che per quarant’anni era stato l’arbitro della politica europea, il Principe di Metternich, che, all’atto della firma delle sue dimissioni, dicono abbia così commentato: “Non avrei potuto fare nulla per evitare le concessioni che ci condurranno necessariamente alla rovina. Ho evitato così la vergogna di sottoscriverle.”.
Questi importanti avvenimenti visse il giovane Robert Hamerling, che l’anno dopo partecipò alla difesa della città messa sotto assedio dall'esercito imperiale, che infine soffocò la rivolta.
 Ma egli dovette nascondersi per sfuggire alla cattura.
Ripresi, poi, i suoi studi di filosofia e di scienze naturali, per un periodo insegnò lingue e letteratura classica a Vienna.
Si trasferì, dopo, a Trieste, dove dal 1855 al 1866 insegnò al liceo.
Per problemi di salute, si ritirò a Graz dove morì nel 1889. Questo fu il periodo più fertile della sua carriera di scrittore.
 Tra le sue opere ricordiamo Ahasver in Rom del 1866, da cui egli ricevette i primi successi e che è una bella descrizione della Roma antica, in cui la figura principale è quella di Nerone ed è anche l’opera più famosa; Venere in esilio, composta durante il suo soggiorno triestino; Der König von Sion del 1869, che è ritenuta dai più il suo capolavoro; Amore e Psiche, il romanzo Aspasia, la tragedia  Danton e Robespierre. Le migliori, tra le sue opere, sono quelle in cui lo scrittore si manifesta più come genio artistico di ricca immaginazione che come descrittore realistico di carattere. Più belli i tratti lirici, meno riuscite le opere di teatro. Ma senza alcun dubbio egli fu anche un appassionato e raffinato traduttore: dall’Italiano in particolar modo.  Tradusse i Canti di Leopardi nel 1856.  Nietzsche, che non provò mai a tradurre Leopardi, sebbene la sua opera sia ricca di citazioni del poeta di Recanati da lui amato e ritenuto in grande stima e che se mai preferiva parafrasarne qualche pensiero trasformandolo in un nuovo aforisma, usò anche lui le traduzioni di Hamerling.  Traduzioni di Leopardi, che peraltro, come ebbe a dire lo stesso Robert Hamerling, in questo periodo dell’Ottocento, in cui la filosofia di Schopenhauer esercitava una notevole influenza sulla cultura tedesca, in Germania cominciavano a trovare maggiore ascolto, date le affinità tra i due. Per Hamerling il pessimismo di Schopenhauer era da considerare quasi come una ripetizione di quello leopardiano; è a Leopardi infatti che il poeta austriaco attribuisce un posto di primo piano nella corrente del “dolore cosmico”, dello ‘Weltschmerz’, cui fanno parte un Lenau, uno Heine… E soprattutto egli volle dimostrare che Leopardi  con Petrarca, Dante, Michelangelo sono i grandi geni che rivelano un’Italia non solo culla non del genio artistico, ma addirittura del “sublime”.  Questa sua concezione dell’arte italiana in genere, e di Leopardi in particolare, lo portò a scegliere, nella traduzione dei canti leopardiani, termini tedeschi più ricercati rispetto a quelli apparentemente più “semplici”, di uso quotidiano, usati da Leopardi, cosa che è da considerare un limite del suo lavoro di traduzione, poiché talora lo conduce a modificare il senso stesso della poesia leopardiana.
 
 
 

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