lunedì 20 aprile 2015

Caterina d'Aragona


Michael Sittow, Caterina d'Aragona come principessa vedova del Galles, circa 1503, olio su tavola di quercia, 29cm x 20,5cm, Kunsthistorisches Museum, Vienna


Era il 1501, quando la "fanciulla" reale, la figlia di Ferdinando e Isabella di Spagna, appena sedicenne, giunse in Inghilterra per sposare il quindicenne Arthur, fratello di Enrico, morto un anno dopo il matrimonio, matrimonio che Caterina sempre negò essere stato consumato. 
La sua cospicua dote persuase il suocero, Enrico VII, a non lasciarla ripartire per la Spagna ma a rinnovare l'alleanza con il potente Ferdinando con un nuovo matrimonio: quello di Caterina, di sei anni maggiore, con l'allora "ragazzetto" Enrico, suo cognato!
Nessuna sorpresa se in quell' "intrigo" vi furono due opposti partiti a sostenere o ad avversare questa decisione: entrambi si ispiravano alla Bibbia e, alcuni gridavano allo scandalo: "Non è onesto che un uomo prenda la moglie del fratello .... essi saranno senza figli." (Lev. 20:21). Mentre altri dichiaravano con convinzione: “ Se due fratelli abitano insieme e uno di essi muore, e non hanno figli… l’altro ne prenda la moglie e la elegga a propria moglie.”.
Il matrimonio legale fu celebrato, anche se, data l’età di Enrico, venne differita la coabitazione.
Due anni dopo, Enrico chiese l’annullamento di questo matrimonio praticamente impostogli dal padre, ma gli interessi politici erano tali che egli stesso dovette convincersi a celebrarlo solennemente sei settimane dopo la sua incoronazione. 
 Caterina diede alla luce, uno dopo l’altro, una bambina di sette mesi e quattro figli maschi, che morirono dopo poco. Enrico già pensava al divorzio, quando nacque Maria, quella Maria che regnerà alla morte del padre per un tempo sufficiente a farla ricordare nella Storia come la Cattolica e la Sanguinaria, quella Maria che a soli due anni fu promessa sposa al Delfino di Francia!
E l’anno dopo ancora un quinto figlio maschio: nato morto! Ora Enrico cominciava a mettere in dubbio la validità del suo matrimonio con Caterina, a ritenere che il matrimonio con il fratello morto fosse stato realmente consumato, a temere persino che la morte dei figli e la mancanza dunque di una discendenza maschile fosse una punizione divina, per un matrimonio che contraddiceva ad un comandamento biblico! Oh, se la regina avesse partorito un figlio maschio! Egli avrebbe, come voto, allestito e guidato una Crociata contro i Turchi! Ma Caterina aveva ormai compiuto l’arco della sua fertilità e più vecchia di lui di sei anni, debole, deformata nel fisico e triste nell’anima per le tante dure prove subite, non costituiva più alcuna attrattiva nei confronti del suo giovane e vigoroso sposo.
Caterina, pur sfortunata e provata, fu una donna eccellente come cultura e raffinatezza. Ma raramente i mariti hanno trovato affascinante l’erudizione di una moglie! Amava Enrico e fu una buona sposa, accettò il comportamento infedele del re e lottò fino all’impossibile per salvare il suo matrimonio, opponendosi, finché poté, all’annullamento; ma l’amore più grande in lei fu sempre quello per la sua Spagna! Si considerava un inviato di Spagna presso l’Inghilterra, e di fatto per un certo tempo lo fu. Affermava che l’Inghilterra sarebbe sempre stata dalla parte di Ferdinando o di Carlo.
Nonostante i suoi appelli alla legge, nonostante il diniego da parte del Papa di annullare questo matrimonio, diniego che favorì l’istituzione della Chiesa Anglicana, Caterina fu costretta a lasciare la corte reale e, cosa ancor più dura, fu allontanata dall’unica figlia che ora veniva dichiarata illegittima. Vedere Maria, anche questa era ammalata, le fu sempre negato. La sofferenza di Caterina si accresceva quanto la sua ostinazione a non voler mai accettare la nuova condizione di vedova di Arthur. Continuò sempre a firmarsi: Caterina, la regina. Non smise mai di preoccuparsi della salute spirituale di Enrico e fino all’ultimo sperò in un suo ritorno a lei.
Visse nel castello di Kimbolton in condizioni molto semplici, quasi come in un convento. Si ammalò di tumore e, ormai vicina alla morte, scrisse la sua ultima lettera al re, raccomandandogli Maria, dichiarandogli il proprio perdono e pregandolo, come una sposa affettuosa, di aver cura della propria salute spirituale.
 La lettera si chiude con la frase: “Ed infine io vorrei, più che ogni altra cosa, posare ancora una volta i miei occhi su di voi!”.
Era il 7 gennaio 1536, quando, ricevuti i sacramenti, Caterina emise l’ultimo respiro. Non ricevette onori, né quella magnificenza promessa quale omaggio dovutole dal popolo inglese, la sua sepoltura avvenne, per volere del re, nella cattedrale di Peterborough a pochi chilometri dal castello che fu sua dimora negli ultimi anni.
Si sparse la voce che il re l’avesse fatta avvelenare, ma c’è chi afferma che Enrico sarebbe ricorso se mai alla mannaia! Morire intorno ai cinquanta anni non era ai tempi di Caterina un’eccezione: ai suoi tempi la vita si bruciava in tempi brevi!
Di lei, che viene per lo più ricordata come una donna pia e mite oltre che sfortunata e triste, si vuole invece onorare il profondo senso della dignità regale, quale si addice alla figlia della coppia di sovrani tra i più grandi d’Europa. 
E chi la ritenesse responsabile d’aver procurato lo scisma anglicano, dovrebbe considerare che proprio lei, Caterina, zia di Carlo V, con la sua fedeltà al matrimonio, alla fede cattolica, alla Spagna, ha lottato fino alla fine per salvare tutto ciò che amava.

© rosalia de vecchi


commento di ...
Il ritratto che traspare dalle tue interessanti analisi è quello di una donna affascinante e complessa, allevata fin dalla più tenera età ad un destino di regina, indomita, determinata a mantenere a tutti i costi il suo ruolo...
Se è vero che fu consapevole da sempre dell'importanza di un ruolo che la ragion di Stato le aveva imposto e che lottò con tenacia anche quando intrighi e complotti si intrecciarono alle sue spalle dopo la morte del primo marito, quanto sarà stata pesante la pressione di dover mettere al mondo un re dopo tre gravidanze infelici e tre figli maschi morti prematuramente? E quanto profonda l'umiliazione di non riuscirci e di assistere ai tentativi di annullamento del matrimonio da parte del suo secondo marito?

Quante umiliazioni avrà vissuto Caterina nell'intuire i suoi tradimenti ripetuti? E quanta mortificazione a seguito dell'attribuzione finale del titolo di "Principessa vedova" atta a suggellare il suo fallimento di regina dopo le nozze di Enrico con Anna Bolena? Quale tristezza avrà scandito i giorni del suo esilio forzato, di quella solitudine decorosa ma drammaticamente frustrante, punitiva? Quanto dolore avrà accompagnato una donna sconfitta e allontanata dalla sua unica figlia?

risposta al commento 
 è sempre così: nel " personaggio" storico c'è un uomo. C'è una donna. Troppo spesso la necessità di servire le richieste dettate dal processo storico calpesta e divora ogni sentimento, ogni pulsione, ogni ideale umano! Altrettanto spesso l'egoismo e la crudeltà non risparmiano i nobili! 
Qui, da una parte c'è una donna ripudiata e privata di ogni diritto di regalità e di  ogni diritto di madre, dall'altra una donna la cui nobiltà di nascita conferisce una dignità che sfida gli eventi e il tempo, che la fa tenace difenditrice dei valori cui è stata educata fin dall'infanzia: la patria, la fede e il matrimonio in quanto sacramento.
Il dolore non le impedisce di lottare fino all'ultimo respiro per riavere ciò che crede di non aver mai perduto definitivamente. 

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