lunedì 30 giugno 2014

victor hugo : distruggere la miseria

 
 
 

«Je suis de ceux qui pensent et qui affirment

qu’on peut détruire

la misère




Détruire la misère Discours à l'Assemblée nationale législative
Victor Hugo

9 juillet 1849



Je ne suis pas, messieurs, de ceux qui croient qu’on peut supprimer la souffrance en ce monde ; la souffrance est une loi divine ; mais je suis de ceux qui pensent et qui affirment qu’on peut détruire la misère.
Remarquez-le bien, messieurs, je ne dis pas diminuer, amoindrir, limiter, circonscrire, je dis détruire.
Les législateurs et les gouvernants doivent y songer sans cesse ; car, en pareille matière, tant que le possible n’est pas fait, le devoir n’est pas rempli. La misère, messieurs, j’aborde ici le vif de la question, voulez-vous savoir jusqu’où elle est, la misère ? Voulez-vous savoir jusqu’où elle peut aller, jusqu’où elle va, je ne dis pas en Irlande, je ne dis pas au Moyen Âge, je dis en France, je dis à Paris, et au temps où nous vivons ? Voulez-vous des faits ?
Il y a dans Paris, dans ces faubourgs de Paris que le vent de l’émeute soulevait naguère si aisément, il y a des rues, des maisons, des cloaques, où des familles, des familles entières, vivent pêle-mêle, hommes, femmes, jeunes filles, enfants, n’ayant pour lits, n’ayant pour couvertures, j’ai presque dit pour vêtement, que des monceaux infects de chiffons en fermentation, ramassés dans la fange du coin des bornes, espèce de fumier des villes, où des créatures s’enfouissent toutes vivantes pour échapper au froid de l’hiver.
Voilà un fait. En voulez-vous d’autres ? Ces jours-ci, un homme, mon Dieu, un malheureux homme de lettres, car la misère n’épargne pas plus les professions libérales que les professions manuelles, un malheureux homme est mort de faim, mort de faim à la lettre, et l’on a constaté, après sa mort, qu’il n’avait pas mangé depuis six jours.
Voulez-vous quelque chose de plus douloureux encore ? Le mois passé, pendant la recrudescence du choléra, on a trouvé une mère et ses quatre enfants qui cherchaient leur nourriture dans les débris immondes et pestilentiels des charniers de Montfaucon !
Eh bien, messieurs, je dis que ce sont là des choses qui ne doivent pas être ; je dis que la société doit dépenser toute sa force, toute sa sollicitude, toute son intelligence, toute sa volonté, pour que de telles choses ne soient pas ! Je dis que de tels faits, dans un pays civilisé, engagent la conscience de la société tout entière ; que je m’en sens, moi qui parle, complice et solidaire, et que de tels faits ne sont pas seulement des torts envers l’homme, que ce sont des crimes envers Dieu !
Vous n’avez rien fait, j’insiste sur ce point, tant que l’ordre matériel raffermi n’a point pour base l’ordre moral consolidé !



 
Distruggere la miseria, Discorso all'Assemblea nazionale legislatva del 9 luglio 1849


 
Io non sono, signori, di quelli che credono che si possa sopprimere la sofferenza in questo mondo; la sofferenza è una legge divina; ma io sono di quelli che pensano e affermano che si possa distruggere la miseria.
Notate bene, signori, io non dico mitigare, ridurre, limitare, circoscrivere, io dico distruggere. I legislatori e i governanti devono pensarci incessantemente, poiché in tale campo, non è stato fatto tutto il possibile, il dovere non è stato esaurito. La miseria, signori, - io qui tratto il vivo della questione - , volete sapere fino in fondo fin dove sia la miseria? Volete sapere fin quale luogo essa può spingersi, fin quale tempo arriva? Io non dico in Irlanda, io non dico fino al medioevo, io dico in Francia , io dico a Parigi, e nel tempo in cui viviamo. Volete dei fatti?
Vi sono a Parigi, in questi sobborghi di Parigi che il vento della sommossa poco tempo fa così facilmente sollevava, vi sono delle strade, delle dimore, delle cloache, dove alcune famiglie, famiglie intere, vivono ammucchiate in promiscuità: uomini, donne, giovinette, bambini… senza un letto, senza coperte, con indosso per vestiti pezzi di stoffa infetti, in fermentazione, raccattati nel fango di un angolo dei confini urbani, letamai delle città dove delle creature viventi si rifugiano per difendersi dal freddo dell’inverno.
Ecco un fatto. Ne volete degli altri? In questi stessi giorni, un uomo, mio Dio , uno sfortunato letterato, ché la miseria non risparmia più le libere professioni come non risparmia le professioni manovali, (il termine francese usato da Hugo, in questo passo, resta in ambedue i casi “profession”!), un uomo sventurato è morto di fame, letteralmente morto di fame, ed è stato provato, dopo la sua morte, che da sei giorni non aveva più mangiato.
Volete qualcosa di ancora più doloroso? Il mese scorso, durante il momento di recrudescenza del colera, sono stati trovati una madre e i suoi quattro bambini che cercavano di che nutrirsi tra i rottami immondi e pestilenziali del cimitero di Montfaucon!
Ebbene, signori, io dico che queste sono cose che non dovrebbero mai esistere; io dico che la società deve usare tutta la sua forza, tutta la sua sollecitudine, tutta la sua intelligenza, tutta la sua volontà, perché queste cose non avvengano! Io dico che dei fatti tali, in un paese civile, coinvolgono la coscienza dell’intera società, che io che parlo mi sento complice e solidale e che dei fatti simili non sono solamente torti alla specie umana ma anche crimini al cospetto di Dio!
Voi non avete fatto niente, insisto su questo punto, tanto è vero che l’ordine materiale instaurato non ha come sua base un consolidato ordine morale!



(trad. rosalia de vecchi)

© rosalia de vecchi



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Cristina di Svezia

 
 
"Esiste una stella che unisce le anime di prima grandezza, benché età e distanze le separino."
Cristina di Svezia

Era il 18 dicembre 1626: a Stoccolma nasceva una bambina che sarebbe divenuta una delle più interessanti ed originali figure femminili della storia moderna europea: Cristina di Svezia.
Alla sua nascita si dice che il padre abbia esclamato: “Questa bambina varrà quanto un uomo”, dimos
trando molto intuito paterno ma scarso senso dell’individualità, la cui forza e il cui genio non dipendono dal sesso, quanto invece dalla configurazione dello spirito.
Cristina fu regina già a soli sei anni, quando il padre, il grande Gustavo Adolfo, morì in combattimento durante la Guerra dei Trent’anni. Già da due anni, consapevole dei rischi dei campi di battaglia, il re aveva nominato reggente il conte Axel Oxenstierna, uno tra i migliori statisti dell’epoca, del quale la stessa Cristina scrisse poi che possedeva un’immensa cultura, coltivata fin dalla giovinezza, che era ambizioso ma fedele e incorruttibile, silenzioso e lento ma profondissimo ed acuto conoscitore degli eventi mondiali. Quando nel 1644 Cristina, ormai diciottenne, assunse il potere, dimostrò consapevolezza del suo alto compito e si ritenne adatta a governare quel bellissimo paese, vibrante, la cui popolazione cresceva, ma soffriva per le guerre e per la povertà. La cosa che più costantemente le sia stata a cuore fu il raggiungimento e il mantenimento della pace. Per questo motivo accolse con sollievo gli esiti della Pace di Westfalia. Forse perché educata in stile virile, trascurava l’aspetto esteriore, gli ornamenti, gli abiti sontuosi, e preferiva un abbigliamento comodo e sportivo, di taglio maschile, le piaceva cavalcare, cacciare e voleva essere precisa e pronta nella mira, abbattere la preda in un sol colpo; infatti diceva di non aver mai ucciso un animale senza averne provato pietà. Possedeva molta autocritica e ammetteva i propri difetti, confessandosi diffidente, sospettosa, eccessivamente ambiziosa, orgogliosa e sdegnosa, impaziente e collerica, ma si riconosceva generosa e persino prodiga, e soprattutto fedele ai propri compiti di regina. Non si riteneva bella e si descriveva dotata fin dalla nascita di una voce aspra e forte, di una capigliatura folta, ma Pierre Huet, vescovo di Avranches dice di lei che aveva “un volto raffinato e grazioso, i capelli d’oro, gli occhi lampeggianti” e che la modestia che la contraddistingueva la rendeva ancor più attraente. Cristina rifiutò il matrimonio, nonostante le insistenze della corte che voleva indurla a considerare le necessità impostale dal trono, quale quella, prioritaria, della discendenza. Come la grande Elisabetta I, anche Cristina percepiva il matrimonio come un pericolo per la propria libertà ma soprattutto per quella del regno. Perciò, o forse anche per altri motivi, sui quali gli storici ancora oggi non concordano, nel 1649, nominò principe ereditario il cugino Gustavo Adolfo. Pur nella sua totale dedizione alla cura degli affari di Stato, la sua grande passione fu sempre la cultura. Dotata di grande intelligenza, era avida di sapere, coltissima (la sua educazione era stata molto accurata fin dalla più tenera età), conosceva sette lingue, tra cui il greco, l’arabo, l’ebraico, parlava in latino, leggeva i poeti italiani, che le piacevano tanto e apprezzava la brillante vivacità di quelli francesi, teneva una fitta corrispondenza con numerose personalità del mondo culturale contemporaneo, sia letterario che filosofico, e scientifico. Organizzò una grande biblioteca, facendovi affluire testi pervenuti da ogni parte del mondo. Altrettanto fece con le opere d’arte, allestendone una pregevole collezione. Chiamò a corte uomini quali Ugo Grozio, Isaac Vossio …e avrebbe voluto farne convenire altri, con i quali dovette invece accontentarsi di avere una fitta corrispondenza. Essa stessa amava partecipare alle conversazioni filosofiche, dato che andò elaborando un proprio pensiero. Gassendi, che ebbe un interessante carteggio con la regina, si congratulava con lei per la sua creativa lettura di Platone e il grande Descartes, con il quale Cristina corrispondeva da tempo, soprattutto sulla questione per lei di capitale importanza, quella del libero arbitrio e delle scelte esistenziali che ne dipendono, e che la regina volle a Stoccolma, perché diventasse suo maestro di filosofia e di matematica, si stupì nel sentirla disquisire intorno al pensiero platonico. Purtroppo, però, per Descartes, il rigido inverno svedese, le lezioni quotidiane alle cinque del mattino, furono causa di una polmonite mortale. Fu grande la tristezza di questo evento, del quale Cristina rimase molto turbata, anche apparve distratta da altre preoccupazioni.
Del soggiorno del filosofo presso la regina, si racconta un divertente aneddoto. Quando, una volta, Descartes volle convincerla che gli animali sono meccanismi, la regina gli fece osservare che non aveva mai veduto un orologio mettere al mondo degli orologini.
Un altro grande che la regina volle a Stoccolma fu il pedagogo Giovanni Comenio, cui diede l’incarico di riformare il sistema scolastico e lei stessa in persona si recò a Uppsala per incoraggiare maestri e discepoli, fondò collegi anche in Finlandia e mandò studiosi in Arabia per imparare l’insegnamento orientale, importò stampatori dall’Olanda per impiantare una casa editrice a Stoccolma, esortò i dotti a scrivere in volgare affinché i loro scritti venissero compresi anche dal popolo….
Fu senza dubbio una regina illuminata e soprattutto nell’arte di governare operò da sola le sue scelte e fu decisa. Di lei restano molte massime, quali ad esempio: “Ci vuole più coraggio a sposarsi che a fare la guerra” o anche : “ Colui che s’ adira col mondo, non trae profitto di tutto quello che ha appreso.” La sua fama di donna dalla singolare personalità e dalla grande cultura le procurò l’ammirazione della poetessa messicana Juana Inés de la Cruz, la suora poetessa che in pieno seicento scriveva: ”Stolti uomini che accusate / la donna senza ragione, / ignari di esser cagione / de le colpe che le date; /… / io molti argomenti fondo / contro le vostre arroganze, / ché unite in promessa e istanze / l’inferno, la carne e il mondo.”.
Nell’estate del 1651, Cristina abbandonò il protestantesimo e diventò cattolica. Questa decisione, tra le cui varie interpretazioni c’è anche quella della simulazione, forse invece trova le sue origini in quegli stessi elementi mistici rintracciabili nelle sue Memorie, tutte intimamente rivolte a Dio. O in quello stesso scetticismo, che, spinto all’estremo, individua la sua protezione nella Fede. E il Cattolicesimo, più ancora del Cristianesimo, è la religione che consola il cuore, che parla al popolo. “Come si può essere cristiani senza essere cattolici? “ era la domanda di Cristina.
Durante gli anni che precedettero la sua conversione, Cristina era malata: soffriva di febbri pericolose, con sintomi d’infiammazione polmonare, sveniva e rimaneva senza conoscenza per un’ora. Durante il suo stato di grave malattia, lei stessa raccontò, dopo, di aver fatto voto di convertirsi al Cattolicesimo. Ma anche i conflitti createsi con una parte dell’aristocrazia, i tentativi di rivolta, le esecuzioni, la situazione tesa, ebbero certo un loro peso nella decisione di Cristina, che sognava ormai climi più miti, cieli d’Italia e salotti di donne colte in Francia. Assicuratasi l’appoggio e la protezione del Papa, di luigi XIV e di Filippo IV, il 6 giugno 1654 nel castello reale di Uppsala, Cristina abdica in favore del cugino Carlo Gustavo von Zweibrücken. Deponendo la corona, Cristina rinunciava ad ogni diritto sul trono svedese, ma le vennero assegnati alcuni territori e il mantenimento di uno stile di vita confacente alla sua trascorsa dignità. In quella occasione i dignitari votarono una legge in base alla quale le donne non potevano più diventare regine, legge che tre secoli dopo, nel 1980, Carl Gustav XVI, ha mutato affinché in futuro possa regnare Victoria, la figlia primogenita, nata nel 1977.
Cinque giorni dopo l’abdicazione Cristina , al tramonto, lasciò Stoccolma, si fermò per l’ultima visita alla madre, travestita da uomo si recò in Danimarca ed infine si stabilì a Roma, dove fu accolta con entusiasmo ed ospitata in Vaticano; poi si trasferì a Palazzo Farnese e, acquistato un palazzo alla Lungara, dove raccolse il suo patrimonio artistico culturale (la biblioteca e la raccolta di opere artistiche, che oggi appartengono al Vaticano) lo trasformò in un cenacolo di artisti letterati scienziati, dal quale doveva nascere uno dei primi nuclei dell’Arcadia. Si dedicò anche a studi di alchimia, chimica e astrologia. Sembra quasi che le sue scelte siano state dettate più che altro dalla sconfinata passione per il sapere, che l’ha spinta a cercare un ambiente culturale più interessante e ricco come quello di Roma rispetto alla sua Stoccolma. Cristina di Svezia, una regina della quale si è scritto tanto, della quale si è parlato, a torto o a ragione, di presunti amori e si è sottolineata l’originalità dei comportamenti, la cui personalità ha trovato un’interprete d’eccezione in Greta Garbo, è soprattutto uno spirito libero, che, indipendentemente dal suo essere donna, ci è esempio di chiarezza d’intenti, serietà di ricerca, senso di responsabilità nell’aderire ai compiti che il destino ci pone innanzi, capacità di configurare l’ambiente nel quale poter realizzare se stessi.
© rosalia de vecchi

Amna






"L'amore è la nostra vera essenza, l'amore non ha limitazioni di casta, credo, religione, razza o nazionalità, siamo tutti delle perle infilate sullo stesso filo dell'amore. Risvegliare in noi la coscienza di questa unità e diffondere l'amore che è la nostra natura intrinseca. Ecco il vero scopo dell'esistenza umana."

- Amma



Mata Amritanandamayi, nota al mondo di oggi col nome di Mata, nasce in un remoto villaggio nello stato del Kerala, nel sud dell’India il 27 settembre 1953. Era ancora una bambina e, come più spesso che non si creda avviene ai bambini, anche lei si chiedeva: perché la povertà? Restava, anche lei, come molti altri bambini nel mondo, attonita di fronte alla sofferenza umana. Nei luoghi della sua infanzia, ebbe occasione di frequentare i pescatori e di osservarne la vita con tutte le sue difficoltà; la pesca era l'unica fonte di sostentamento per la gente di quelle terre, ma spesso i pescatori tornavano dalla pesca a mani vuote; ciò per loro e le loro famiglie significava patire la fame! Anche la sua vita di fanciulla ebbe i suoi oneri: era suo compito infatti occuparsi delle bestie e, per sfamare le mucche e le capre che possedeva la sua famiglia, faceva quotidianamente il giro di circa una trentina di case al fine di raccogliere un buon pasto da dar loro a base di bucce di tapioca e di avanzi di altri alimenti. Ma Mata, andando di casa in casa, ebbe modo di sperimentare l'umana sofferenza: la vecchiaia, la solitudine, l'infermità, la miseria.... Fu di fronte a questi casi dolorosi della vita che la giovinetta manifestò già allora la sua indole generosa e la sua predisposizione alla Compassione e all'Amore. Lei stessa dichiara di aver sempre avuto la certezza dell'esistenza di una Realtà superiore e di aver avvertito in se stessa, fin dall'infanzia, un flusso d'Amore per tutti gli esseri. Infatti, durante quegli anni di cui qui si sta dicendo, Mata soccorreva tutte le volte che poteva gli infermi e le persone bisognose che incontrava nelle case nelle quali entrava per la sua questua. Spesso portava a casa qualcuno di loro per un bagno ed un pasto caldi o sostava con altri per far loro compagnia o per pregare insieme. Osservava con profondo dolore che la povertà e la durezza della vita quotidiana rendeva i giovani egoisti e aspri nei confronti dei vecchi genitori, gli stessi che avevano tanto amato quando erano stati giovani, e si domandava perché tanta assenza d'Amore nel mondo! Cominciò proprio in quel tempo il suo ritirarsi nella meditazione, cosa che irritava le persone della sua famiglia, che non la rimproveravano per le sue pratiche ascetiche e che, nella loro ignoranza, non potevano comprenderla né potevano comprendere la Verità che animava il suo spirito eletto: la consapevolezza dell'esistenza di una Trascendenza che non è la realtà la fenomenica. Il suo meditare sulla sofferenza umana la condusse dapprima, seguendo un cammino caro alla tradizione orientale, dall'antico induismo all'illuminazione del Budda, ad individuare l'origine del dolore umano nella legge del Karma e nella necessità di evolvere da incarnazioni passate, ma poi, non sentendosi appagata da questa spiegazione, Mata comprese l'importanza di essere attivi e alleviare con Amore le sofferenze umane anziché accettare passivamene l'attuazione dolorosa nella vita individuale delle leggi del Karma. In questo, cosa che ormai appartiene al nostro tempo, come ci attestano già le scelte di molte anime elette, ma anche di molti che vivono una vita anonima eppure per questo non meno degna di ammirata approvazione, Mata unisce la concezione orientale a quella che in occidente ha il suo più elevato esempio in San Francesco d'Assisi: la contemplazione dei retroscena spirituali della vita fenomenica da una parte ma anche e l'operoso agire nel mondo. Il potere taumaturgico della Compassione e dell'Amore è messo al servizio degli uomini sulla Terra per alleviarne le sofferenze ma anche per accompagnare in modo illuminato il cammino evolutivo. Così Mata diviene Amna e dà inizio al suo peregrinare per l'India "in soccorso dei bisognosi"! Con il suo tessere operoso attraverso l'esempio e la parola Amna ha radunato intorno al suo progetto migliaia di persone che ora l'aiutano a realizzare case per i senzatetto, a fornire cure mediche agli ammalati, a sollevare dall'indigenza i più poveri.....
Amna rileva che la maggior parte degli esseri umani vede la vita come una lotta costante per la sopravvivenza e pertanto crede nella "teoria della sopravvivenza del più forte"; queste stesse persone dirigono ogni loro sforzo a crearsi un lavoro, una famiglia, una posizione sociale..., in una parola una vita il più possibile tranquilla e stabile, e, quando l'hanno raggiunta, si sentono soddisfatte, ma anche se questo è importante, c'è qualcosa di molto più importante di cui ognuno dovrebbe occuparsi. Oltre che corrispondere ai propri doveri e alle proprie responsabilità nei confronti propri ed altrui, ciascun essere umano ha un compito ancora più elevato: quello di conoscere chi siamo e perché esistiamo; il vuoto incolmabile e la solitudine straziante che regnano nell'intimo di molti uomini derivano dal non aver essi raggiunto la consapevolezza del proprio sé e quella dell'esistenza di una Verità Suprema. Per Amna seguire un cammino spirituale è connaturato i ogni singolo essere umano è a chi un giorno le chiese il perché, rispose che è "come se il seme chiedesse: Perché dovrei andare sottoterra?". Il Divino esiste in ogni essere e ciascuno può, se vuole, sperimentarlo. "Non sprecate nemmeno un secondo. Servite gli altri, soprattutto i poveri - senza aspettarvi nulla in cambio. .... chi offre compassione è il primo a ricevere benedizione divina!".
Le attività umanitarie di Amna hanno ricevuto molti riconoscimenti: dal 1993 ad oggi Amna ha ricevuto vari premi ed onorificenze, è stata invitata a partecipare a varie ed importanti conferenze internazionali , e questo certamente ha contribuito ad ampliare e solidificare le sue stesse attività. In particolare vogliamo qui ricordare il Premio per la Pace mondiale conferitole in occasione della Conferenza per la Pace Mondiale a Pune, India, il premio Gandhi-King per la Non-violenza, presso la sede dell’ONU di Ginevra, conferitole dal movimento mondiale per la Non-violenza, l'invito a tenere il discorso conclusivo al Parlamento delle Religioni del Mondo, a Barcellona....

di rosalia de vecchi




Sihem Habchi, fondatrice a Parigi la “Maison de la mixitè”


Nata a Costantine, in Algeria, il 9 maggio 1975, Sihem Habchi, emigrò in Francia con la famiglia, dove ha completato i suoi studi nel 2001, avendo ottenuto la laurea nella prestigiosa Università Pierre e Marie Curie di Parigi, considerata la prima università nell'ambito degli studi medico scientifici e della ricerca. Così Sihem ha concluso il suo percorso culturale, che dagli studi classico linguistici l'ha portata poi ad ottenere la specializzazione in « Chef de projet multimédia - Ingénierie de formation »! Per un certo tempo Sihem Habchi ha insegnato lingue e soprattutto francese alle donne straniere per il loro inserimento linguistico e l'integrazione sociale; poi ha concentrato il suo interesse e la sua attenzione ai bambini , occupandosi prevalentemente di problematiche connesse con la pedagogia.

Quando, nel marzo del 2003, fu organizzata la "Marcia delle donne contro la ghettizzazione e per l'uguaglianza", lei vi ebbe un ruolo decisivo, poichè fece parte del gruppo dei sette giovani che, partiti da Vitry-sur-Seine, attraversarono ventitré centri abitati e intervistarono il pubblico sulle reali condizioni femminili nella loro società. Una tragica vicenda aveva di recente scosso gli animi dei Francesi: a Vitry-sur-Seine, il 4 ottobre 2002, la giovane diciassettenne Sohane Benziane era stata trovata gravemente ustionata e due ore dopo moriva in ospedale. Cosparsa di essenze infiammabili da un giovane diciannovenne, era stata poi fatta bruciare per un atto punitivo a causa del comportamento indipendente e "antimaschilista" dimostrato dalla giovinetta. Le volevo fare paura, diceva il suo "carnefice", non volevo ucciderla. Ma l'evento criminoso e terribile si era consumato!

In memoria di Sohane Benziane « La marche des femmes des quartiers contre les ghettos et pour l’égalité » si volle farla cominciare da Vitrey-sur-Seine, la si condusse attraverso tutta la Francia nel mese di febbraio ed infine la si concluse con la grande manifestazione nazionale dell'8 marzo 2003 ( più di 20 mila persone per le vie di Parigi, a sostegno del movimento!), che consacrò la nascita del movimento "Ni putes ni soumises".

Sihem Habchi, divenuta ormai agli occhi di molti un' "agitatrice" per la sua lotta contro ogni genere di discriminazione e guardata con sospetto se non addirittura "marchiata a fuoco" in paesi quali l'Algeria, sua patria di origine, l'Arabia Saudita, l'Afghanistan, il Marocco..., ma anche dai numerosi nuclei di immigrati di cultura musulmana in territorio francese, dove le donne sono ancora troppo vessate nel corpo e nello spirito, è stata lei stessa vittima del dominio del genere maschile, come testimoniano le ustioni che porta ancora sul suo corpo, procuratele dal fidanzato respinto, il quale peraltro è stato condannato dal tribunale francese a 20 anni di reclusione.

E nonostante tutto questo o se il Marocco ha censurato il movimento cui lei ha dato vita, in quanto ritenuto, secondo quanto dichiarato dal ministro dell'interno Benmoussa, “non conforme all'approccio adottato dal Paese nell'affrontare le problematiche collegate alla situazione femminile" lei certo non si è mai fermata: daal 12 luglio al 31 agosto 2003 ha organizzato l'esposizione di 14 volti femminili a voler significare l'uguaglianza e la fratellanza: volti di donna

" black blanc beur " innalzati a simbolo. Ha compilato una guida di regole del rispetto; ne sono state vendute circa 100.000.

Divenuta vicepresidente del movimento, ha curato ed organizzato moltissime riunioni pubbliche sul dibattito sulla laicità e ampliato in breve tempo la sfera del movimento, rendendolo internazionale con la partecipazione di gruppi sempre più numerosi da vari paesi, compresi quelli che la osteggiano. E, nonostante ancora il mondo sia "sordo" a questi appelli di emancipazione, bisogna dire che qualche effetto cominc ia a sentirsi, se pensiamo ad esempio alla prima donna ministro in Arabia Saudita! Ha partecipato a numerose conferenze internazionali e l' 8 mars 2005 ha lanciato un appello per una nuova lotta femminile volta a promuovere l'uguaglianza, la laicità e la mescolanza al fine di promuovere una reale emancipazione individuale. Questo appello vuol essere anche una denuncia del pericolo, di cui Sihem si è ben resa conto, di cadere sia nel comunitarismo culturale sia nel particolarismo culturale, che del primo è alleato.

Nel 2006 insieme al Presidente Chirac Sihem ha fondato a Parigi la “Maison de la mixitè” (la “casa della promiscuità”), simbolo dell’unione di uomini e donne francesi e musulmani.

Nel 2007 il movimento ha ottenuto lo statuto consultativo all'ONU, cosa che ovviamente lo rende interlocutore di un organismo internazionale di grande importanza.

Quando nel 2007 la signora Fadela Amara, Presidente del movimento, divenne segretaria di Stato, Sihem Habchi ne prese il posto e partì immediatamente per il Pakistan a sostenere l'ex ministro Nilofar Bakhtiar, minacciata di pena di morte. E da quel momento non ha mai smesso di essere al fianco di donne vittime dell'ottusità morale del mondo, per sostenerle e difenderle.

Oggi, Parigi, 25 nov - Portare la gonna e' un ''atto militante'' dichiara Sihem Habchi, ''Tutte con la gonna'', nella giornata mondiale contro la violenza sulle donne che si celebra oggi". gonna oggi diventa simbolo di lotta a difesa delle donne. E questa sera, con la partecipazione di alcune attrici francesi si terrà un'asta delle "gonne celebri". Il ricavato dell'asta servirà a dare una casa temporanea alle vittime delle violenze domestiche, in attesa che ritrovino un tetto sicuro.


di rosalia de vecchi





commento alla prima edizione del blog, che ho piacere di riportare qui:
Bianca Maria Rizzoli ha detto...
Molto ben fatto e molto interessante Rosalia. Confermo la mia ammirazione per il coraggio di questa fortissima giovane donna. Sottolineo che un movimento come il suo ha molte più possibilità di attecchire in Francia, nazione laica per eccellenza, che in Italia, dove la Chiesa cattolica pratica essa stessa un forte maschilismo gerarchico, con l'esclusione delle donne dal sacerdozio. E dove nel parlamento la minoranza femminile la dice lunga sulla difficoltà del nostro sesso ad accedere a cariche importanti. Siamo ancora indietro per una figura come quella di Sihem Habchi.
 
 

domenica 29 giugno 2014

Anne Zingha. Anne Zingha


La regina “la cui freccia raggiunge sempre l’obiettivo”.

Così viene ricordata ancor oggi la regina d'Angola, Anne Zingha, divenuta un simbolo di fierezza e di dignità, un esempio luminoso di resistenza.

Era il 1484, l'ammiraglio portoghese Diogo Cão, approdato con le sue caravelle in Angola, si stupiva nel vedere un territorio molto fertile, bagnato da numerosi corsi d'acqua, con campi ben coltivati e allevamenti di bovini, diviso nelle sue otto province dai viali colmi di melograni aranci e limoni. Era certo uno spettacolo, - così testimoniano coloro che in quel tempo arrivarono in Angola da altri luoghi, - posare lo sguardo sui campi di grano e sulla frutta abbondante e sulla gente operosa al lavoro dei campi! 
E le testimonianze concordano nel parlare dell'abilità e dell'ingegnosità degli Angolani. Vi erano agricoltori esperti della coltivazione, artigiani che lavoravano l'avorio, conciavano pelli e fabbricavano oggetti di rame, commercianti che trasportavano oltre i confini del paese i prodotti minerari della prospera industria estrattiva. 
Il fiume Cuanza, che nasce a 1450 metri di altitudine dall'Altopiano di Bié e dopo un corso dalla lunghezza di circa 900 chilometri sfocia nell'Atlantico, per lungo tratto navigabile, trasportava nella sua corrente preziosi diamanti: i Portoghesi perciò decisero di occupare la zona che prospettava ricchezze e di farne anche uno scalo per il mercato degli schiavi. Il triste, drammatico e disumano capitolo della deportazione, che sembra non aver mai fine in questo nostro mondo, ebbe in quei luoghi uno dei più gravi momenti: si voleva decimare un'intera popolazione da inviare nelle piantagioni brasiliane per rendere il territorio libero dagli autoctoni e meglio sfruttarlo a proprio interesse. Tutto in nome di sua maestà Giovanni II, re del Portogallo. 
Quelle terre appartenevano al regno di Matamba-Ndongo, un regno molto prospero e potente, che controllava vasti territori, dei quali molti erano ad esso vincolati da rapporti di vassallaggio. Cão aveva rapito anche alcuni membri della nobiltà del regno, portandoli come prigionieri in Portogallo e due anni dopo li aveva ricondotti indietro, ottenendo che il re Nzinga a Nkuwu acconsentisse a convertirsi al cristianesimo. Ma dopo varie vicende che testimoniano da una parte i tentativi di completa ( persino religiosa!) sottomissione degli Angolani, dall'altra quelli di, sia pure con fasi alterne, adattarsi nel modo più dignitoso possibile alle prepotenze dei nuovi arrivati, nel 1575 scoppiò la ribellione contro gli oppressori europei. 
Per più di un secolo infuriò la lotta tra i portoghesi armati di moschetto e gli Angolani solo di arco e frecce, ma di grande coraggio! E mentre le province costiere capitolavano una alla volta, costrette ad arrendersi alla soverchiante forza di armi più potenti, il territorio del Matamba, la cui resistenza è ancor oggi motivo di orgoglio per gli Africani, metteva a durissima prova gli aggressori. Qui, nel 1617, il re, che alla morte del padre, aveva usurpato il regno al fratello designato, volle tentare un'azione gloriosa nei confronti dei Portoghesi, inviando contro di loro trentamila guerrieri: ne seguì un massacro, una disastrosa sconfitta. 
Fu in quella tragica occasione che la regina "Ngola Mbandi Nzinga Bandi Kia Ngola" ( ossia: “la cui freccia raggiunge sempre l’obiettivo”) iniziò la sua gloriosa, leggendaria, azione eroica. Fu infatti inviata a negoziare il trattato di pace con i Portoghesi.

Ma la giovane aristocratica, come altre figlie di sovrani di ogni parte del mondo, aveva ricevuto dal re suo padre un'educazione che la rendeva accorta ed abile al governo come si addice ad un "uomo di Stato" e pertanto si presentò ai Portoghesi in tutta la dignità del suo rango. In lettiga, scortata da cortigiani ed uomini armati, con in testa la sua corona d’oro massiccio incastonata di pietre preziose e sormontata da un ciuffo di pietre dai vivi colori, con lo sguardo indifferente alla curiosità di coloro che in massa erano venuti per vederla, Anne si presentò a Luanda e con i suoi occhi attenti ora scrutava ed osservava ogni cosa. La città le si presentava ormai trasformata: simile ad una città europea, possedeva chiese e quartieri dalle case in legno dall'aspetto elegante, ornate di balconi fioriti, vicoli affollati di gente, anche di mulatti, e negozi colmi di mercanzie, ma anche hangar che radunavano schiavi in massa da inviare stipati nelle navi alle colonie americane, mentre altri neri ostentavano la loro agiatezza con i loro abiti occidentali! 
Ma non dovette sfuggire al suo sguardo attento e sensibile l'espressione di rassegnazione della maggior parte del suo popolo ormai ridotto in schiavitù e/o in servitù. Il porto di Luanda era considerato non a torto uno dei più feroci porti di tratta. Anne ne vedeva ora tutta la drammatica ferocia: marinai portoghesi, spagnoli, italiani, olandesi, indaffarati a imbarcare senza riguardo centinaia di schiavi allineati, negrieri bianchi e i loro aiutanti afrobrasiliani, sulla banchina, a controllare l'imbarco, gli schiavi ammassati come mandrie di animali, malnutriti, maltrattati, fustigati .... Quali sentimenti si saranno agitati nel suo animo nobile per rango e ancor di più per natura?

Nel palazzo del Governatore Zingha fu ricevuta dallo stesso Viceré Don João Correia Da Souza. Una poltrona di velluto rosso e per terra due cuscini di broccato e d'oro: non vi erano dubbi: l'una per il Viceré, gli altri per lei. L'umiliazione era evidente. Ad un suo cenno, una delle sue ancelle fece col proprio dorso una poltrona che, mentre gli astanti ammutolivano per la lezione che lei stava dando loro, l'accolse durante tutto il tempo delle trattative. Gli stessi Portoghesi tramandano che nel colloquio che seguì, Zingha diede costante prova di prontezza e abilità politica senza mai cedere, riuscendo invece ad ottenere l’arretramento delle truppe straniere fuori dalle frontiere precedentemente riconosciute e il rispetto della sovranità di Matamba. E quando il Vicerè suggerì che il Matamba si ponesse sotto la protezione del Portogallo, avendo subito inteso che questo avrebbe comportato un pagamento consistente nella consegna di 12/13 mila persone come schiavi, Zingha rispose, facendo rimarcare che se anche i Portoghesi fossero in possesso di una cultura sconosciuta al suo popolo, questo era nelle proprie terre e possedeva ricchezze proprie, che il re portoghese non avrebbe mai potuto donare al suo e che se pure, costretto dagli eventi, il Matamba avrebbe pagato il suo tributo, l'anno seguente avrebbe ripreso la lotta per la propria libertà. 
Così, pare che la futura regina abbia concluso il suo dire con l'invito ad accontentarsi di quanto il suo popolo potesse dare ai vincitori.

Nel 1624 Zingha divenne regina, succedendo al fratello. Per trent'anni resistette all'esercito portoghese: riunì tutti i popoli vicini e si fece dei nuovi alleati con la promessa di terre e di ricompense, riorganizzò l'esercito addestrandolo anche nelle tecniche di resistenza, secondo quanto aveva imparato dagli stessi occidentali, fece largo uso della polizia segreta spiando le mosse dell'avversario e osservando i movimenti di merci e di armi nel porto di Luanda, utilizzò persino l'avvicendarsi del ritmo delle stagioni, sferrando i suoi attacchi alle forze nemiche soprattutto durante i periodi in cui erano maggiormente stremati dalle febbri malariche. Fiaccò, prostrò le forze portoghesi fisicamente e moralmente e fino all'età di 73 anni lei stessa condusse le sue truppe attraverso montagne, foreste, savane... fino a quando il nuovo governatore Salvador Corréia, essendosi reso conto che questo forte e ben organizzato sbarramento era per ora inaccessibile e che volerlo sfondare avrebbe significato prolungare ancora per molto tempo una guerra logorante e non vantaggiosa per nessuna delle due parti, decise di firmare un accordo: il 24 novembre 1657 cessarono i combattimenti e finalmente ritornò la pace.

Durante la quale Zingha si adoperò in ogni campo per la ricostruzione ed il potenziamento del suo regno: diede nuovo impulso alle attività agricole, procedette a riorganizzare i vari settori della vita pubblica e, cosa che va sottolineata, in questo, affidò a molte donne importanti compiti di responsabilità.

Quando, all'età di 82 anni, il 17 dicembre 1664, concluse la sua vita , questa donna e regina la cui volontà e la cui dignità non incontrarono mai ripensamenti né esitazioni benché minime, si racconta che abbia confessato, poco prima di liberare la sua anima dai vincoli terrestri, l'unico suo grande dolore: quello di non aver potuto lasciare al suo popolo un erede che lo governasse, dato che il suo unico figlio era stato fatto uccidere da suo fratello quando il piccolo era ancora un lattante.

Ringraziamo la scrittrice Sylvia Serbin, che per sua gentile concessione ha lasciato che venisse pubblicata la storia di Anne Zingha, regina d’Angola, dalla quale storia abbiamo ricavato le suddette notizie, che accentuano il nostro interesse per il continente africano e la nostra ammirazione nei confronti delle grandi personalità femminili che arricchiscono la storia dei popoli.

© rosalia de vecchi





ida pfeiffer, una delle prime donne esploratrici.


 
 
Nacque a Vienna il 14 ottobre del 1797. Fu una delle prime donne esploratrici.

Fin da bambina ebbe un grande desiderio di vedere il mondo e sognava di viaggiare. Leggeva, leggeva…. e giocava con i suoi cinque fratelli i giochi scatenati dei maschi, vestendo anche lei abiti maschili, perché suo padre l’amava e la  trattava nello stesso modo in cui trattava i suoi fratelli. A soli nove anni dovette affrontare il grande dolore della morte prematura del padre. A diciassette la madre la convinse ad assumere abitudini femminili e volle curare la sua educazione, facendole dare lezioni di pianoforte; nacque un amore tra lei ed il suo maestro, ma la madre impedì il loro matrimonio cui era contraria; invece a ventidue anni la indusse a fare un matrimonio di convenienza con un vedovo di vari anni più vecchio di lei, dal quale ebbe due figli e dal quale in seguito si separò. Funzionario dello Stato, l’uomo che Ida aveva sposato, ad un dato momento, perse il posto e lei dovette dare lezioni di pianoforte e di disegno per poter contribuire al mantenimento della famiglia e alle spese di casa; nel frattempo i suoi fratelli si prendevano cura dei suoi figli e provvedevano alle spese scolastiche. Ma quando i figli furono cresciuti e quando in seguito alla morte della madre poté disporre di una discreta somma di denaro, che aveva ricevuta come eredità materna, Ida cominciò a viaggiare per il mondo, realizzando finalmente i suoi “antichi” desideri. Studiò le lingue, le mappe geografiche, si informò sulla natura delle piante e sul modo di conservarle….

Intraprese cinque lunghi viaggi, dimostrando grande coraggio e  resistenza alle fatiche… osservò ogni cosa, condivise momenti di vita con gli indigeni che incontrava nelle varie terre visitate e si muoveva da un luogo all’altro con gli stessi loro mezzi di trasporto. Decise di dare inizio al suo primo “giro del mondo” dalla Terra Santa, e dato che lei stessa si rendeva conto dell’ “ardimento” dell’impresa, lasciò, prima di partire, le sue volontà testamentarie.

Ida ha viaggiato lungo il Danubio fino al Mar Nero, fino a Costantinopoli, in Palestina, a Gerusalemme, in Egitto, dove ha visitato le Piramidi di Giza e la Sfinge e dove ha imparato a cavalcare un dromedario; poi in Italia e in altri paesi europei come l’Islanda della quale si lamentava per la gente grezza ed il cibo fatto essenzialmente di polenta e di pesce e dalla quale, però, ha portato campioni di piante e rocce che pare abbia poi venduto a dei musei.

Nel 1846 si recò in Brasile, di cui tanto aveva sentito decantare le bellezze e  dove invece trovò povertà e guerre civili; volle anche recarsi nella foresta pluviale per conoscere le condizioni di vita degli indigeni, ma mentre  la foresta pluviale le parve molto bella, gli indigeni , cedendo anche ai pregiudizi del suo tempo, le parvero troppo primitivi. E dal Brasile proseguì verso il Cile e d altri paesi sudamericani.

Poi si volse verso Oriente: Tahiti, la Cina, l’India, la Persia, la Grecia. A Tahiti fu colpita dalla libertà del comportamento sessuale delle donne, a Canton fu ricevuta dal biologo Louis Agassiz che lavorava ad una spedizione scientifica. Di questi paesi, l’India la sentì più a lei congeniale. In Iraq, allora Mesopotamia, viaggiò per trecento miglia nel deserto insieme ad una carovana di cammelli. Quando incontrò il console britannico, lo stupì, perché egli non si sarebbe mai aspettato di vedere in quei luoghi viaggiare una donna da sola. Spesso Ida  indossava abiti maschili e, mescolata tra la folla, se ne andava in giro ad osservare il comportamento delle popolazioni. Ma, se da una parte Ida dimostrava grande coraggio ed intraprendenza, ponendosi anche in una posizione emancipata di “pionierismo femminile” nel campo delle esplorazioni geografiche, dall’altra talora, ma solo talora, si manifestava ancora legata ai pregiudizi di stampo occidentale quando esprimeva impressioni negative sulle genti che incontrava, come se, abile nel saper organizzare percorsi ed itinerari persino arditi, fosse ancora impacciata nei pensieri e nelle intuizioni su suoi simili di altre latitudini, anche se, bisogna riconoscere che sarebbe difficile a chiunque ancora oggi giudicare un segno di emancipazione  il rituale dei cacciatori di testa o dei cannibali! Eppure proprio sui cacciatori di teste, la tribù dei Dyak, Ida esprime un giudizio positivo, dichiarando che, malgrado il brivido provato al loro cospetto, avrebbe voluto restare più a lungo con loro, per conoscerli meglio e che erano di fatto uomini leali ed onesti. Poi aggiunge anche una riflessione sugli Europei chiedendosi: forse che noi Europei siamo più buoni e meno cattivi con la nostra storia di tradimenti ed orrendi omicidi? Ciò è riferito ad una tappa del suo secondo viaggio intorno al mondo, che la portò in Inghilterra, a Londra e poi in Sud Africa, a Città del Capo e  a Singapore nel Borneo, dove, appunto, nonostante gli avvertimenti, volle visitare la tribù Dyak, nota per la pratica del rituale di caccia alle teste. Ma il pericolo più grande che Ida dovette affrontare nel suo passare da tribù in tribù fu quando a Sumatra, tra i cannibali Batak rischiò il taglio della testa e di questo momento  racconta di essersela cavata con la battuta: “la mia testa è troppo vecchia e dura per essere mangiata”, cosa che sembra abbia fatto colpo sul vecchio saggio della tribù, che, divertito della battuta,  la volle lasciar libera. Ida fu la prima donna ad essersi inoltrata nella giungla, la prima ad aver avvicinato i Batak  e ad averne dato notizie. Australia e poi  America settentrionale e di nuovo altre terre dell’America  meridionale… tanti luoghi… l’Europa con la Russia e i paesi scandinavi…. Ida si recò si può dire dappertutto! In Madagascar fu ricevuta cordialmente dalla regina Ranavalona, ma fu poi coinvolta  involontariamente nel tentativo di colpo di stato nei suoi confronti ed espulsa con gli altri Europei, ma fu in Madagascar che Ida contrasse la malattia che poco dopo doveva portarla alla morte: morì a Vienna nel 1858.

Raccontò le esperienze vissute nei suoi lunghi viaggi attraverso il mondo in 13 volumi di diari, tradotti in sette lingue. Ogni notte scriveva a matita il resoconto della giornata trascorsa. Il suo diario venne pubblicato in Austria nel 1846;  in Inghilterra nel 1852. Scrisse anche sui suoi viaggi in Islanda Svezia e Norvegia ed ottenne una vasta popolarità. Fu membro della Società Geografica di Berlino e di quella di Parigi, ma non della Reale Società di Londra a cagione del suo sesso!

© rosalia de vecchi

 


Olympe de Gouges









"Uomo, sei capace d’essere giusto? E’ una donna che ti pone la domanda ; tu non la priverai almeno di questo diritto. Dimmi? Chi ti ha concesso la suprema autorità di opprimere il mio sesso? La tua forza? Il tuo ingegno? Osserva il creatore nella sua saggezza ; scorri la natura in tutta la sua grandezza, di cui tu sembri volerti raffrontare, e dammi, se hai il coraggio, l’esempio di questo tirannico potere. ...
 
 
 



"Annuncio a chi mi calunnia" di Olympe de Gouges

In fatto di politica, ho soltanto delle nozioni elementari; ma mi sembra che in questo frangente non serva citare Montesquieu o Jean-Jacques Rousseau, né creare nuove leggi: bisogna invece consolidarle, bandire gli abusi e saldare il debito nazionale .Questa è la materia da trattare, a mio avviso: su questo la Nazione deve prendersi il tempo per deliberare. Quale cattivo genio vi si oppone? Quale serpente velenoso morde i cuori?Quale leone ruggente infiamma le menti? Quale demone furioso sta provocando questo fermento generale?Non c’è più riposo né speranza: prepariamoci a massacrarci l’un l’altro. Se la mia fievole voce potesse risuonare fino ai piedi del trono, se gli Stati Generali la udissero senza recriminare sul mio sesso, questa mia voce offrirebbe un mezzo semplice e salutare, un mezzo che avevo già proposto a parecchi deputati: cioè quello di sospendere le loro funzioni per un mese o poco più. La tregua darebbe agli animi esaltati il tempo di ritrovare la calma, di far nascere nuove riflessioni in provincia, e di attribuire ai deputati nuovi poteri, più saggi e funzionali. Se invece gli Stati Generali si sciogliessero, state certi che in un istante l’allarme si diffonderebbe nel regno: tutto sarebbe perduto, e al secolo dell’egoismo seguirebbe il secolo della barbarie. Non riesco a crederci: la prosperità dei francesi è nelle mani degli Stati Generali, e quelli, se tra breve non si verificherà un ritorno di patriottismo, armeranno con i pugnali le mani dei francesi!Posate invece gli occhi su questo popolo infelice; tenete conto della costernazione del monarca e dell’avvilimento generale; tremate al pensiero dei mali innumerevoli che quei dissensi possono produrre. I miserabili allo stremo, uniti agli sbandati, attaccheranno alla cieca i tre ordini in tutta la Francia; e in quella spaventosa carneficina, la nazione rimpiangerà – troppo tardi! – di non aver riunito tutti gli interessi per il bene pubblico. Niente è più facile quanto esaltare gli animi,ma una volta che il fermento è al massimo, è quasi impossibile fermarne gli effetti. .... O francesi!O mia Nazione! Dovrò davvero rimpiangere di essere nata tra voi? No, un simile sentimento non può penetrarmi l’anima. Voglio convincervi e disarmare i miei nemici. E se non sarò io a godere di più fausti giorni, forse in futuro nella mia patria si citerà qualche passo delle mie povere produzioni; e si dirà: cosa avrebbe mai fatto, se fosse stata istruita?" - Olympe de Gouges, autrice della Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina 1791.
 

Questa personalità, che possiede tutti i requisiti per essere annoverata tra i "fautori" di Storia e il cui nome non appare nei testi scolastici né ha fino a poco tempo fa acquisito fama e notorietà, ché anzi pochi conoscono, questa donna, che la storiografia fino alla metà del XX secolo ha voluto ignorare e che storici come Thiers, Lamartine e Blanc preferirono definire "folle" per l'aver lei scelto di opporsi ad uomini come Robespierre e aver sostenuto fino alla fine la sua battaglia per la parità dei diritti, questa donna che non esitò nemmeno di fronte alla ghigliottina, oggi, soltanto oggi, è divenuta uno dei più eloquenti simboli della lotta per l'uguaglianza. L'evento della commemorazione dei duecento anni della Rivoluzione francese ha fornito l'occasione alla "memoria" di "fare memoria", per dirla col filosofo Courtine, e di "tentare di compiere oggi ciò che è stato fallito allora ". Nel 1981 lo storico e conferenziere francese Charles-Olivier Blanc ha pubblicato la sua prima opera importante, che è una biografia di Olympe de Gourges; con quest'opera egli contribuisce alla riabilitazione della figura di questa rivoluzionaria dall'intensa attività politica a favore dell'uguaglianza dei diritti delle donne e degli schiavi, che fu, anche lei, vittima del Terrore. Nel 1984 lo stesso autore, che approfondisce lo studio del periodo della rivoluzione come testimoniano i suoi tanti scritti -una dozzina- sull'argomento, pubblica una raccolta degli ultimin scritti dei condannati alla ghigliottina nel periodo che va dal 1793 al 1797, sotto il titolo di "Derniére Lettre, opera, tradotta in diverse lingue, che testimonia la mentalità del tempo e che potrebbe essere vista anche come una requisitoria contro le violenze del tempo. Egli, appoggiandosi infatti ai numerosi documenti del tempo presi in esame, smaschera i pregiudizi del tempo nei confronti di Olympe e, per la prima volta, recupera la verità sul suo tragico destino, suscitando vivo interesse tra gli studiosi in Francia e in Giappone ma anche in altri paesi e aprendo la strada a nuove interpretazioni che rivalutano l'opera inestimabile della rivoluzionaria, a tal punto che Pierre Sané, vicedirettore generale per le scienze sociali e umane dell’UNESCO, dichiara: "Drammaturga e libellista, ghigliottinata per aver denunciato le derive della Rivoluzione, Olympe de Gouges (1748-1793) fu fra i primi che reclamavano l’uguaglianza dei diritti per tutti i discriminati e gli sfruttati, come le donne e i Neri. Con la coerenza della sua riflessione e il suo inflessibile senso della giustizia si ostinò a scuotere una società che l’avrebbe preferita «ciò che la natura voleva ch’ella fosse». Storici e femministe si sforzano oggi di ripristinare la figura dimenticata di questa donna in anticipo sul suo tempo – e forse perfino sul nostro. ... Nel 1998 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la Dichiarazione sui difensori dei diritti dell’uomo, che dà riconoscimento internazionale e legittimità agli individui che lottano per promuovere i diritti fondamentali. Considerando la molteplicità dei suoi convincimenti e la potenza della sua difesa dei diritti della persona, è poca cosa dire che de Gouges sarebbe pienamente qualificata per ricevere questo titolo. ... Olympe de Gouges riconosceva così che, se «la donna ha il diritto di salire sul patibolo, deve avere ugualmente quello di salire alla tribuna» ... Olympe de Gouges milita anche contro la schiavitù, abolita dalla Prima Repubblica nel 1794, prima che fosse ristabilita da Napoleone otto anni più tardi. Dal 1788 de Gouges pubblica le sue Riflessioni sugli uomini negri, poi il Mercato dei Neri nel 1790 e La schiavitù dei Neri nel 1792. Impegnata in questa lotta, aderisce alla Società degli amici dei Neri, a fianco di Brissot de Warville, Condorcet o Lafayette. La causa delle donne, la causa dei neri, la causa degli oppressi in generale, queste sono le ammirevoli battaglie che Olympe de Gouges porta avanti. ... ". ( da Le monde Diplomatique – novembre 2008 ; traduzione dal francese di José F. Padova).
Scrittrice, autrice teatrale, ferventemente dedita alla politica, Olympe de Gouges si batté per la liberazione degli schiavi, per il divorzio, per i diritti degli orfani e delle madri nubili...né tollerò mai ingiustizie, tanto che, lei repubblicana, fu contro la condanna a morte di Luigi XVI e dichiarò che ne avrebbe voluto assumere in prima persona la difesa. Si chiamava, di fatto, Marie Gouze, poiché lei, figlia naturale del marchese Lefranc de Pompignan, uomo noto per le sue doti di letterato ma anche perché Presidente del Tibunale, fu allevata da Pierre Gouze, che era un macellaio. Nata il 7 maggio del 1748 nella regione di Montauban, come accadeva ai suoi tempi alla maggior parte delle giovinette, sposò a soli 16 anni; ebbe un figlio, ma già l'anno dopo rimase vedova. Da questo momento la sua vita sentimentale fu densa di incontri, a cominciare dal "coup de foudre" con Jacques Biétrix, che la condusse con sé a Parigi, dove cambiò il suo nome in Olympe de Gouges. Era bella e seducente e non mancò di corteggiatori né di ammiratori; tra la gente che frequentava vi erano molti scrittori ed anche dei filosofi. Anche lei cominciò a scrivere... un suo dramma dai marcati accenti polemici nei confronti della schiavitù fu rappresentato proprio nel 1879. Non esitò ad entrare nella vita politica e, assolutamente certa della parità dei diritti della donna estese e pubblicò, nel 1791, la "Dichiarazione dei Diritti della Donna e della Cittadina".
"Uomo, sei capace d’essere giusto? E’ una donna che ti pone la domand ; tu non la priverai almeno di questo diritto. Dimmi? Chi ti ha concesso la suprema autorità di opprimere il mio sesso? La tua forza? Il tuo ingegno? Osserva il creatore nella sua saggezza ; scorri la natura in tutta la sua grandezza, di cui tu sembri volerti raffrontare, e dammi, se hai il coraggio, l’esempio di questo tirannico potere. ... " leggiamo nella sua dichiarazione. E nel preambolo: "Le madri, le figlie, le sorelle, rappresentanti della nazione, chiedono di potersi costituire in Assemblea nazionale. Considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti della donna sono le cause delle disgrazie pubbliche e della corruzione dei governi, ... ". Ed ancora: "La Donna nasce libera ed ha gli stessi diritti dell’uomo. Le distinzioni sociali possono essere fondate solo sull’utilità comune." nell'Articolo I.
Una donna, come lei, per la lucidità e la coerenza del suo pensiero politico, che la induceva a rivendicare l’ammissione delle donne al diritto di cittadinanza e a femminile e a sollecitare la creazione di ateliers nazionali per i disoccupati, di una struttura articolata di protezione ospedaliera materna e infantile, di un sistema giudiziario che garantisse un sussidio alle vedove e il riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio, che la faveva continuamente balzare in primo piano per esprimersi su tutti i temi più importanti del pensiero sociale del tempo, dall’abolizione della pena di morte, all’eliminazione della schiavitù nelle colonie, dovette certamente infastidire non poco quelli che si sentirono inequivocabilmente oggetto delle sue lucide obiezioni e temevano i suoi slanci progettuali quali possibili trasformazioni vere della realtà sociale.
Non è ipotizzabile dunque poter pensare che Olympia avrebbe potuto evitare uno scontro frontale con Robespierre; fino alla fine tentò lei stessa di difendere le sue posizioni, ma in quei tempi in cui, come disse un contemporaneo alla condanna di Lavoisier, "oggi in pochi istanti cade una testa; ci vorranno centinaia di anni prima che ne nasca una uguale", la ghigliottina con la sua lama crudele ed implacabile poneva fine alla vita di uomini oscuri come , e forse anche di più, a quella di uomini giusti e onesti, indifferente, anzi ancor più ostile, alla superiorità morale e creativa di individui nati per promuovere il processo evolutivo dell'umanità, la condanna a morte giunse molto presto; nel 1793 Olympia fu condannata a morte, eliminata con accanimento magggiore poiché lei, dal "debol sesso" dimostrava di possedere vis politica e capacità non indifferenti di dare alla propria voce e alle parole tutta la forza della suo pensiero ben strutturato e connesso uinteramente con la dignità dell'etica.
 
 
 



 

lunedì 2 giugno 2014

scelta di poesie

Scelta di poesie


SE AVESS’IO
Alda Merini  
Se avess'io levità di una fanciulla
invece di codesto, torturato,
pesantissimo cuore e conoscessi
la purezza delle acque come fossi
entro raccolta in miti-sacrifici,
spoglierei questa insipida memoria
per immergermi in te, fatto mio uomo.
Io ti debbo i racconti piu fruttuosi
della mia terra che non dà mai spiga.
e ti debbo parole come l'ape
deve miele al suo fiore. Perchè t'amo
caro, da sempre, prima dell'inferno
prima del paradiso, prima ancora
che io fossi buttata nell'argilla
del mio pavido corpo. Amore mio
quanto pesante è adducerti il mio carro
che io guido nel giorno



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Afterglow

Sempre è commovente il tramonto
per indigente o sgargiante che sia,
ma più commovente ancora
è quel brillìo disperato e finale
che arrugginisce la pianura
quando il sole ultimo si è sprofondato.
Ci duole sostenere quella luce tesa e diversa,
quella allucinazione che impone allo spazio
l'unanime paura dell'ombra
e che cessa di colpo
quando notiamo la sua falsità,
come cessano i sogni
quando sappiamo di sognare.

Louis Borges

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C’è chi meglio degli altri realizza la sua vita. 

È tutto in ordine dentro e attorno a lui. 

Per ogni cosa ha metodi e risposte.

È lesto a indovinare il chi il come il dove 

e a quale scopo.


Appone il timbro a verità assolute, 

getta i fatti superflui nel tritadocumenti, 

e le persone ignote 

dentro appositi schedari.

Pensa quel tanto che serve, 

non un attimo in più, 

perché dietro quell’attimo sta in agguato il dubbio.

E quando è licenziato dalla vita, 

lascia la postazione 

dalla porta prescritta.



A volte un po’ lo invidio - 

per fortuna mi passa.



Wislawa Szymborska




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Cristo, pensoso palpito,

Astro incarnato nell'umane tenebre, 

Fratello che t'immoli

Perennemente per riedificare

Umanamente l'uomo, 

Santo, Santo che soffri,
Maestro e fratello e Dio che ci sai deboli, 
Santo, Santo che soffri
Per liberare dalla morte i morti
E sorreggere noi infelici vivi, 
D'un pianto solo mio non piango più, 
Ecco, Ti chiamo, Santo, 
Santo, Santo che soffri. 

Ungaretti





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Mi perdo se mi incontro, dubito se trovo, non possiedo se ho ottenuto. Come se passeggiassi, dormo, ma sono sveglio. Come se dormissi, mi sveglio, e non mi appartengo. In fondo la vita è in se stessa una grande insonnia e c'è un lucido risveglio brusco in tutto quello che pensiamo e facciamo.
Fernando Pessoa
►♣◄ ♦♦♦ ►♣◄
Apri a chi non bussa alla tua porta
Se qualcuno un giorno bussa alla tua porta,
dicendo che è un mio emissario,
non credergli, anche se sono io;
ché il mio orgoglio vanitoso non ammette
neanche che si bussi
alla porta irreale del cielo.
Ma se, ovviamente, senza che tu senta
bussare, vai ad aprire la porta
e trovi qualcuno come in attesa
di bussare, medita un poco. Quello è
il mio emissario e me e ciò che
di disperato il mio orgoglio ammette.
Apri a chi non bussa alla tua porta.
Fernando Pessoa


►♣◄ ♦♦♦ ►♣◄


non sto pensando a niente

Non sto pensando a niente,
e questa cosa centrale, che a sua volta non è niente,
mi è gradita come l'aria notturna,
fresca in confronto all'estate calda del giorno.
Che bello, non sto pensando a niente!
Non pensare a niente
è avere l'anima propria e intera.
Non pensare a niente
è vivere intimamente
il flusso e riflusso della vita...
Non sto pensando a niente.
E' come se mi fossi appoggiato male.
Un dolore nella schiena o sul fianco,
un sapore amaro nella bocca della mia anima:
perché, in fin dei conti,
non sto pensando a niente,
ma proprio a niente,
a niente...

- Fernando Pessoa
►♣◄ ♦♦♦ ►♣◄
Il tuo nome ignoro. Il tuo profilo non ricordo.
Le tue parole dimenticai.
Era mattina, nebbia, era Dicembre,
Quando ti trovai e ti persi.
Sogno o rammento?

Non so. Era mattina e la nebbia
Nascondeva quello che c'era e quello che pensavo
Come un falso estremo rifugio
In nessuna parte del quale io stavo.
Sogno, prolisso e intero,
Ma, se tra i tasti la tua mano vagasse,
Così, spogliata dell'esser tua, io so                  
Che forse potrei trovare
Tra quello che non ho potuto incontrare
Quello che non troverò.
Ferdinando Pessoa
►♣◄  ♦♦♦  ►♣◄






Quem sonha mais?





Chi sogna di più, mi dirai —
Colui che vede il mondo convenuto
O chi si perse in sogni?

Che cosa è vero? Cosa sarà di più—
La bugia che c'è nella realtà
O la bugia che si trova nei sogni?

Chi è più distante dalla verità —
Chi vede la verità in ombra
O chi vede il sogno illuminato?

La persona che è un buon commensale, o questa?
Quella che si sente un estraneo nella festa?


Ferdinando Pessoa
►♣◄ ♦♦♦ ►♣◄

Quel che mi duole non è
Quello che c'è nel cuore
Ma quelle cose belle
Che mai esisteranno.

Sono le forme senza forma
Che passano senza che il dolore
Le possa conoscere,
O sognarle l'amore.

Come se la tristezza
Fosse albero e, una ad una,
Le sue foglie cadessero
Tra il sentiero e la bruma.
Ferdinando Pessoa
۞

  ♦♣♦  ♫●

Il sole dei vecchi
è un sole stanco.
Trema come una stella
e non si fa vedere,
ma solca le acque d'argento
Dei notturni favori
E tu che hai le mani piene
d'amore per i vecchi
Sappi che sono fanciulli

Attenti al loro pudore.



 

Alda Merini



♣♫ტ   ♦♣♦   ♫♣
A tutti i giovani raccomando:
aprite i libri con religione,
non guardateli superficialmente,
perché in essi è racchiuso
il coraggio dei nostri padri.
E richiudeteli con dignità
quando dovete occuparvi di altre cose.
Ma soprattutto amate i poeti.
Essi hanno vangato per voi la terra
per tanti anni, non per costruivi tombe,
o simulacri, ma altari.
Pensate che potete camminare su di noi
come su dei grandi tappeti
e volare oltre questa triste realtà
quotidiana.

Alda Merini
 da "La vita facile"
 ♣♫ტ   ♦♣♦   ♫♣
A Tutte le Donne

Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso
sei un granello di colpa
anche agli occhi di Dio
malgrado le tue sante guerre
per l'emancipazione.
Spaccarono la tua bellezza
e rimane uno scheletro d'amore
che però grida ancora vendetta
e soltanto tu riesci
ancora a piangere,
poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli,
poi ti volti e non sai ancora dire
e taci meravigliata
e allora diventi grande come la terra
Alda Merini
♣♫ტ   ♦♣♦   ♫♣
 ۞




╬▒  ♦●●♦ ▒ ╬

 Sono una donna


Nessuno può immaginare
quel che dico quando me ne sto in silenzio
chi vedo quando chiudo gli occhi... /...
come vengo sospinta quando vengo sospinta
cosa cerco quando lascio libere le mani.
Nessuno, nessuno sa
quando ho fame quando parto
quando cammino e quando mi perdo,
e nessuno sa
che per me andare è ritornare
e ritornare è indietreggiare,
che la mia debolezza è una maschera
e la mia forza è una maschera,
e quel che seguirà è una tempesta.

Credono di sapere
e io glielo lascio credere
e io avvengo.

Hanno costruito per me una gabbia affinché la mia libertà
fosse una loro concessione
e ringraziassi e obbedissi.
Ma io sono libera prima e dopo di loro,
con loro e senza loro
sono libera nella vittoria e nella sconfitta.
La mia prigione è la mia volontà!
La chiave della mia prigione è la loro lingua
ma la loro lingua si avvinghia intorno alle dita del mio
desiderio
e il mio desiderio non riusciranno mai a domare.

Sono una donna.
Credono che la mia libertà sia loro proprietà
e io glielo lascio credere
e avvengo.

Joumana Haddad


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"Un giorno esisterà la fanciulla e la donna, il cui nome non significherà
più soltanto un contrapposto al maschile, ma qualcosa per sé, qualcosa
per cui non si penserà a completamento e confine, ma solo a vita reale:
l'umanità femminile. Questo progresso trasformerà l'esperienza
dell'amore, che ora è piena d'amore, la ...muterà dal fondo, la riplasmerà
in una relazione da essere umano a essere umano, non più da maschio a
femmina. E questo più umano amore somiglierà a quello che noi
faticosamente prepariamo, all'amore che in questo consiste, che due
solitudini si custodiscano, delimitino e salutino a vicenda"
Rainer Maria Rilke

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Io non sono Io
Sono colui
che mi cammina accanto senza che io lo veda;
che, a volte, vedo,
e che, a volte, dimentico.
Colui che tace, sereno, quando parlo,
colui che perdona, dolce, quando odio,
colui che passeggia là dove non sono,
colui che resterà in piedi quando morirò.
Juan Ramón Jiménez





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Rimani

Rimani! Riposati accanto a me.
Non te ne andare.

Io ti veglierò. Io ti proteggerò.

Ti pentirai di tutto fuorchè d’essere venuto a me, liberamente, fieramente.
Ti amo. Non ho nessun pensiero che non sia tuo;
non ho nel sangue nessun desiderio che non sia per te.

Lo sai. Non vedo nella mia vita altro compagno, non vedo altra gioia

Rimani.
Riposati. Non temere di nulla.

Dormi stanotte sul mio cuore…

gabriele d'annunzio

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