mercoledì 29 gennaio 2014

Elisabetta Tudor

breve momento dedicato ad Elisabetta Tudor





“Miei Lord, le leggi di natura mi spingono al rimpianto per mia sorella; il fardello che ricade su di me, mi sbigottisce; eppure, considerando ch’io sono una creatura di Dio tenuta ad ubbidire all’ordine Suo, ad esso mi sottometterò; desiderando dal profondo del cuore di poter essere assistita dalla Sua grazia per adempiere sulla terra la sua volontà nel compito ora affidatomi. ….”. 

Era il 20 novembre 1558. Queste parole pronunciate con schiettezza e regalità, al cospetto d’una piccola folla di Lord, Ladies e borghesi, furono pronunciate dalla giovane Elisabetta Tudor, che all’età di 25 anni era chiamata a salire sul trono d’Inghilterra. Solo tre giorni prima un corriere era giunto nel palazzo di Hatfield ad annunciare ad Elisabetta che era regina d’Inghilterra.   
Ad  Hatfield,  l“illegittima” figlia di Enrico VIII e di Anna Bolena viveva in vigile riservatezza fin dall’età di tre anni e qui, grazie a Jane Seymour, ultima moglie del re, aveva ricevuto un’ottima educazione sotto la guida del suo celebre precettore Roger Asham, il quale con orgoglio misto ad ammirazione diceva di lei: “parla il francese e l’italiano altrettanto bene che l’inglese… la sentii parlare con abile disinvoltura il latino e, in modo discreto, anche il greco…”. 
Qui Elisabetta si era dedicata tutti i giorni agli studi teologici, da cui trasse una profonda cultura protestante, e alla lettura di maestri italiani quali Pomponazzi, Machiavelli ed autori vari della Roma rinascimentale, dai quali, forse, derivò il suo scetticismo; ma qui, in questo palazzo di Hatfield, non era mai stata sicura né della corona né della propria vita: dovendo sospettare di tutti e di tutto, senza potersi fidare di nessuno, ad eccezione di pochissimi fedeli che vegliarono su di lei sempre, la giovane donna temprò il suo carattere e si mantenne accuratamente padrona del suo fare come del suo dire, osservando, vagliando, attendendo. Una buona stella l’aveva fatta nascere da un potente padre, ma una cattiva stella le aveva dato una madre attraente quanto sfortunata, che doveva morire in mano ai carnefici, esecutori degli ordini del marito! Per un atto del Parlamento era stata dichiarata illegittima e figlia di un’adultera; un secondo atto del Parlamento le restituiva in parte quanto precedentemente negato, la successione al trono, ma non la legittimità della nascita. Aveva conosciuto l’oscuro respiro della prigione nella Torre di Londra, accusata di complicità nel tentativo del colpo di Stato che avrebbe voluto rovesciare la sorella Maria, quella stessa Maria che, chiamata “la Sanguinaria”, fu invece l’autrice di un atto di generosità, lo stesso che le fece pronunciare in punto di morte il nome di Elisabetta, sua sorella, come erede al trono d’Inghilterra.
E’ a Maria la Sanguinaria che dobbiamo la pagina di storia dominata e illuminata da Elisabetta I , Elisabetta la grande!
Ora, vestita di velluto color porpora, a cavallo, in corteo, verso quella stessa Torre che per un certo tempo era stata suo carcere, mentre il Parlamento ancora risuonava del grido “Dio salvi la regina Elisabetta! Lungo sia il suo regno!” e il cielo di Londra vibrava dell’eco dello scampanio delle chiese, Elisabetta si faceva avanti tra il suo popolo, che l’acclamava con canti di gloria e mandava avanti i bambini a recitare tremanti discorsetti di augurio, mentre i cannoni sparavano forti e potenti come mai s’era udito. Venticinque anni, con il fascino di una donna che pur giovane si faceva matura, non tanto alta, dai lineamenti regolari in un volto decisamente bello, la pelle di color olivastro , gli occhi lampeggianti, i capelli dai riflessi di rame e le mani, le mani assai belle e ben messe in mostra. Così appariva Elisabetta quando venne incoronata nell’abbazia di Westiminster, così la donna destinata a forgiare il destino di Inghilterra, entrava nella storia: fermamente decisa a far fronte alle scomuniche del Papa, ai soldati francesi di Scozia e a quelli di Spagna in Irlanda, ai complotti che potevano mettere in pericolo la propria vita e alle mire espansionistiche del mondo cattolico di Filippo II, sicura di poter contare sull’appoggio di uomini scaltri quanto fidati, sulla saggezza dei suoi consiglieri come sul coraggio che animava l’animo suo stesso.
“Lo spirito di quella donna…. è posseduta dal diavolo, che se la sta trascinando al suo posto…” disse l’ambasciatore di Spagna quando la vide e l’Europa di vecchi volponi scoprì di che pasta fosse quella giovane donna e quale grande regina si celasse dietro ai suoi “innocenti” sorrisi!


© rosalia de vecchi

giovedì 23 gennaio 2014

La giovinezza di Caterina dei Medici




Particolare delle nozze di Caterina de' Medici ed Enrico II di Francia, dipinte da Jacopo da Empoli ( il matrimonio fu celebrato per procura a Firenze il 5 Ottobre 1600)

La giovinezza di Caterina dei Medici

 A Firenze, il 13 aprile dell’anno 1519, nasceva la piccola Caterina dei Medici. Il destino la volle orfana fin dalla nascita: la madre, Maddalena de la Tour d’Auvergne, principessa francese di sangue reale, morì pochi giorni dopo averla data alla luce; il padre, Lorenzo dei Medici, duca di Urbino, nipote del Magnifico, moriva subito dopo, il 4 maggio. Si dice che entrambi i genitori siano morti probabilmente di peste.
Caterina fu affidata alla nonna paterna, Alfonsina Orsini, e dunque fu portata a Roma. Alla morte della nonna fu cresciuta prima dalla zia Clarice Strozzi e poi dalla prozia Lucrezia Salviati.  Fu la zia Clarice che, durante l’infanzia, le fece da madre, allevandola insieme alla sua numerosa prole, sette maschi e tre femmine, nella splendida villa medicea di Poggio a Caiano, villa che il bisnonno Lorenzo il Magnifico aveva fatto erigere su progetto del Sangallo. Ma se Poggio a Caiano aveva resistito alla calata dei Lanzichenecchi nel 1527, non resistette ai rivoltosi fiorentini, che,  cacciati i Medici dalla città, tolsero Caterina alla zia e la tennero in ostaggio chiudendola in convento. Caterina passò dalle domenicane di Santa Lucia al convento di Santa Caterina e poi al monastero delle Murate, nella più rigida clausura, simile a prigionia.  Il convento tuttavia la salvò dal pericolo di venire o esposta ai colpi dell’artiglieria e lasciata morire in odio ai Medici, oppure rinchiusa in un bordello per essere macchiata per sempre, allo scopo di togliere allo zio, Papa Clemente VII, la speranza di unirla in matrimonio con qualche principe importante e trarre da questo matrimonio dei benefici politici.
Clemente VII, infatti, progettava di trarre dalla nipote, che orfana si prestava bene a diventare per lui “inconsapevole oggetto di scambio”, dei benefici diplomatici; per questo più tardi intavolò  lunghe trattative con Francesco I re di Francia , cui pure stava a cuore un’alleanza con il Papa allo scopo di limitare la potenza di Carlo V.
Quando nel 1530 i Fiorentini deposero le armi, la piccola fu trasferita a Roma, dove visse con la prozia Lucrezia, sembra a Palazzo Medici, oggi Palazzo Madama, e, d’estate, nella villa costruita da Giulio Romano su disegno di Raffaello per Clemente VII, Villa Madama. 
Durante questo periodo  Caterina visse tra le opere di Raffaello e di Michelangelo - Le Stanze… la Cappella Sistina…- e maturò il gusto per l’arte e per il senso della bellezza. Tra i Giardini Vaticani e la Biblioteca dei Medici che Leone X, suo prozio, aveva trasferito a Roma, Caterina nutriva eccellentemente la propria sensibilità e l’intelletto.
 A Roma c’era anche suo cugino, il Cardinale Ippolito, di soli vent’anni, bello, affascinante, dall’aria malinconica, poeta e abile nel canto e nel suonare il flauto e la cetra. La giovanissima Caterina ne era attratta ed anche lui avrebbe rinunciato al sacerdozio per sposarla anche perché questo matrimonio avrebbe rafforzato la sua futura autorità. Ma non erano questi i progetti di Clemente VII e perciò questo matrimonio non avrebbe mai avuto luogo. Clemente meditava nozze con Federico Gonzaga o Guidobaldo della Rovere, principe di Urbino….quando si presentò l’occasione di allearsi con il re di Francia ed allora quale miglior matrimonio per Caterina che quello con Enrico di Valois, figlio di Francesco I di Francia?
 Caterina, piccola di statura, magra, dagli occhi sporgenti come la maggior parte dei  Medici, allegra e vivace, ignara del destino che si tramava per lei, trasferitasi a Firenze nel 1532, stava scoprendo il piacere delle feste, delle cavalcate, della compagnia della nobiltà fiorentina dallo spirito arguto, mentre si preparavano per lei le nozze e il 1° settembre dell’anno successivo partita infatti da Firenze, Caterina arrivò a Portovenere, dove il duca d’Albany con una flotta di ben ventisei navi l’attendeva per condurla in Francia. Il Papa si unì al convoglio a Villefranche.  Giunsero a Marsiglia l’11 ottobre, salutati da trecento cannoni e da un assordante clamore di campane a festa. L’ingresso nella città fu trionfale. Fu costruito un castello provvisorio in legno sulla Piazza Nuova per ospitarli e qui Francesco I con la moglie  Eleonora, sorella di Carlo V, scortato da duecento uomini e trecento arcieri venne in visita al Papa e i due ultimarono le trattative in base alle quali  si decideva la conquista del ducato  di Milano e quello di Urbino per il giovane sposo, inoltre il Papa avrebbe concesso al re Parma e Piacenza.
I due futuri sposi, entrambi quattordicenni, s’incontrarono per la prima volta il 23 ottobre. Il 27 diedero il consenso ufficiale alle nozze e fu firmato il contratto di matrimonio. Il giorno dopo la messa e la benedizione degli anelli. Poi la festa; a mezzanotte Eleonora condusse Caterina nella camera nuziale, il cui letto era costato per la decorazione 60 mila scudi.
Ma quel matrimonio, che non era stato un matrimonio d’amore, non nasceva sotto buoni auspici: quello stesso anno infatti 1533, in luglio, era apparsa infatti una cometa.
Celebrate le nozze tra i due adolescenti, Clemente ripartì per Roma, dove presto dimenticò i patti con  Francesco I e ricevette in Vaticano l’inviato di Carlo V. Il re di Francia avrebbe voluto protestare ma il Papa moriva all’inizio del nuovo anno e con lui scompariva anche ogni progetto concordato con le nozze.
“Ho avuto la ragazza completamente nuda” pare abbia esclamato Francesco I.
Nel frattempo la giovinetta futura regina di Francia, con la famiglia reale raggiunse Parigi dove Caterina familiarizzò con la corte più sfarzosa e brillante d’Europa oltre che con l’adolescente marito, dal quale però si accorse presto non avrebbe mai avuto l’amore. Enrico, pur robusto di corporatura, era pallido e malinconico, preso dalle sue strane fantasie e dalle letture dei romanzi cavallereschi, ancora sotto gli effetti devastanti della dura prigionia subita insieme al fratello nelle carceri spagnole. Nella sua mente e nel regno evanescente del suo sognare dominava sovrana la giovane vedova del grande siniscalco di Normandia, Luigi di Brezé: l’elegante ed affascinante Diana di Poitiers. Col suo lutto in bianco e nero, con i suoi modi pieni di aggraziato e raffinato riserbo ma matura ed esperta della vita, Diana accendeva l’animo di Enrico, che per lei partecipava a tornei, giostre, gare di ogni tipo, secondo le usanze dei suoi tempi, per conquistare un suo sorriso! Caterina, che fin dall’infanzia si era distinta per il buon carattere, esercitava la sua pazienza e dissimulava la gelosia; tutti a corte l’amavano e soprattutto la sorella del re e le cognate, ma più di ogni altra la stessa regina, che, assuefatta a dover subire l’arroganza della duchessa Anna d’Heilly, l’amante di Francesco, le fu  di grande sostegno con i suoi saggi consigli.
Nel frattempo, però, Caterina conduceva una vita molto piena di impegni di vario tipo: le visite ai numerosi cantieri aperti, quali  Chambord e Fontainebleau,  affollati di artisti italiani, in mezzo ai quali si sentiva a proprio agio… la brillante e fastosa vita di corte….. il fascino dell’importante e attivo suocero, disinvolto diplomatico e scaltro politico… esperienze tutte che si sarebbero dimostrate un giorno a lei molto utili.  Infatti, morto improvvisamente durante una campagna militare contro Carlo V il delfino di Francia, Francesco, la successione passava ad Enrico e Caterina  si preparava ad occupare il trono più prestigioso d’Europa. Nel frattempo, però, il suo cuore di donna diveniva sempre più solo: Enrico da amante platonico era diventato amante ufficiale della contessa Diana. Caterina non solo non gli offriva le grazie travolgenti e mature della splendida amante ma non gli dava nemmeno un erede al trono. L’ambasciatore di Venezia scriveva che Caterina era amata da Enrico e da Francesco come dalla corte tutta a tal punto che “non si troverebbe una persona che non si lascerebbe cavare il sangue per farle avere un figlio”. Enrico aveva avuto una figlia da una ragazza di Moncalieri, una bambina che aveva affidato alle cure di Diana; cominciavano a circolare voci che consigliavano il ripudio della sterile sposa italiana ma il re, cha apprezzava la sua intelligenza e la sua cultura, il suo ardimentoso coraggio  nell’inseguire orsi e cinghiali, la difese ed anche Diana era dalla sua parte non avendo intenzione alcuna di passare dalla condizione privilegiata di amante a quella di prolifica moglie. Caterina consultava medici astrologhi alchimisti, ricorreva a farmaci e droghe, filtri e talismani…Il 19 febbraio del 1544 ( 11 anni dopo le nozze!) nacque il primo degli 11 figli di Caterina dei Medici, dei quali sarebbero sopravissuti solo 7. Tre anni dopo, con la morte di Francesco I e l’ascesa al trono di Enrico, Caterina ormai poteva contare solo su se stessa. Di fatto la vera regina era ora Diana: ogni decisione veniva presa da lei e dai cinque membri del Consiglio del re, era lei però la vera arbitra della situazione. A lei andavano i cospicui doni elargiti da Francesco I alla sua amante, il castello di Chenonceau che prima questa stessa poi Caterina resero una delle più ammirate residenze del Rinascimento francese, e a lei andarono i gioielli della corona e vari proventi, tra cui le tasse sulle campane, cosa che fece scrivere a Rabelais la famosa frase: “Il re ha appeso tutte le campane del regno al collo della sua giumenta.”.  Enrico II aveva messo il regno nelle mani della sua amante e le preoccupazioni di Caterina erano più che fondate.  L’ambasciatore del duca di Ferrara, Alvarotti, scriveva: E’ impossibile vedere Sua Maestà occuparsi d’altro se non di corteggiare a tutte le ore la siniscalca…”. Nonostante Diana arrivasse ai 50 anni e il re ne avesse una trentina la bellezza di lei si manteneva inalterata e la passione di lui intatta, come il primo giorno. A parte il formale ossequio alla regina, di fatto era Diana la più ammirata e famosa nelle cerimonie ufficiali e  gli artisti celebrarono la sua bellezza come quella di una dea.
Tra Caterina e Diana, tuttavia, nel tempo e relativamente ad alcune vicende della vita del re, si stabilì una certa “alleanza”, come ad esempio quando Enrico ebbe una relazione con Lady Fleming, la bionda seducente vedova scozzese, governante della piccola Maria Stuarda, durante il suo  soggiorno inglese, relazione dalla quale nacque un bambino. Le due donne non esitarono in un’azione congiunta  a indurla ad abbandonare l’Inghilterra.
 Ma Caterina ormai cominciava a doversi muovere in un ambito di necessità più gravi, quelle di natura politica. Il re, impegnato con Diana le sue scappatelle amorose e soprattutto con le sue guerre contro Carlo V, lasciava sempre più spesso a corte un vuoto di governo che era indispensabile colmare e Caterina dava così inizio alle sue prime esperienze in questo ambito, esperienze che le sarebbero state preziose quando, vedova di Enrico, avrebbe dovuto difendere il regno per i suoi tanti figli. C’era, infatti, da difenderlo sia da nemici esterni che da nemici interni: il Luteranesimo che si andava diffondendo sempre più e il movimento degli Ugonotti che Enrico definiva i “nemici della tranquillità e dell’unità dei Cristiani. Enrico dovette affrettarsi a concludere la pace con la Spagna e, in questa circostanza, la restituzione del Piemonte, consigliata dalla stessa Diana, aveva mandato Caterina su tutte le furie, poiché non tollerava una così umiliante pace. Amareggiata si ritirò nei suoi appartamenti a leggere la Storia della Francia.  A Diana  che  era andata a farle visita e le aveva chiesto cosa stesse leggendo, Caterina rispose che stava scoprendo come nella storia di Francia erano state  le donne  come lei ad aver diretto gli affari dei re e le voltò le spalle.
La notte tra il 29  e il 30 giugno 1559 Caterina aveva sognato il marito ferito e sanguinante. Sia Nostradamus, che aveva previsto la morte di Enrico in un torneo, sia un vescovo astrologo italiano, che anni prima aveva sconsigliato Enrico di partecipare ai tornei, oltre che questo suo recente sogno, inducevano la regina ad insistere presso lo sposo affinché si astenesse dalla partecipazione ai tornei; ma Enrico non volle prendere in considerazione queste raccomandazioni e questi presagi e affrontò dopo pochi giorni in un  torneo il capitano delle sue guardie scozzesi , Gabriel de Montgomery. Uno scontro brutale, una ferita mortale, vani tentativi di salvezza…. la morte giunse presto: era il pomeriggio del 10 luglio 1559.
 Con la tragica morte di Enrico II, aveva inizio il lungo regno della regina-madre Caterina di Francia, un regno denso di eventi e di circostanze di difficile gestione,  cui però la degna nipote di illustri personaggi di un’altrettanta illustre casata seppe ben tener testa.


 © rosalia de vecchi

sabato 18 gennaio 2014

Sofia Vasilyevna Kovalevskaya, la matematica russa, che fu la prima donna nel mondo ad ottenere una cattedra universitaria


Vasilyevna Kovalevskaya



Se la bolognese Laura Bassi fu la prima donna in Europa ad ottenere di essere docente universitaria e nel 1776 finalmente, dopo anni d' intensa attività di ricercatrice nell'ambito delle scienze matematiche, fu riconosciuta dal senato bolognese idonea ad insegnare Fisica, la matematica russa Sofia Vasilyevna Kovalevskaya fu la prima donna nel mondo ad ottenere una cattedra universitaria: trasferitasi con la figlia in Svezia dopo la morte del marito , avvenuta nel 1883, qui, all'Università di Stoccolma ottenne la cattedra di matematica, con l'obbligo di tenere le lezioni in tedesco per il primo anno di insegnamento e in svedese per l'anno successivo.
Sofia Vasilyevna Kovalevskaya, che oltre ad essere una matematica, fu anche un'interessante scrittrice ed anche un'attivista politica, nacque a Mosca, il 15 gennaio del 1850 da nobile famiglia. La passione per gli studi scientifico-matematici la ereditò senza dubbio dalla famiglia paterna, infatti sia il nonno che il bisnonno avevano acquistato fama l'uno perché un abile matematico, l'altro per i suoi appassionati studi di astronomia. Indubbiamente la piccola Sofia visse in un ambiente familiare che univa all'aristocrazia di casta il grande valore della cultura: aveva otto anni quando ebbero inizio i suoi studi matematici. Ma questo non ci stupisce, se pensiamo che molte altre donne che poi si resero famose per cultura e personalità cominciarono i loro studi, anche matematici a volte, a questa età e se consideriamo che gli studi matematici, in molti sistemi pedagogici, sono previsti come insegnamento che accompagni l'uomo fin dall'inizio, nel suo processo educativo e culturale. Ci stupisce invece la precocità del suo intelletto e la curiosità appassionata che la piccola Sofia manifestò presto, come lei stessa ci racconta nei suoi diari, Souvenirs d'enfance, in cui la scrittrice racconta che la prima volta che con la sua famiglia si era trasferita in campagna, mancando la carta da parati per la camera da bambini, questa fu in parte rivestita con dei fogli litografati sul calcolo differenziale e integrale. Sofia, attirata da queste immagini, trascorreva ore a cercare di decifrare queste formule misteriose ed incomprensibili.
Era appena una diciottenne, quando, come sempre accadeva ai suoi tempi, sposò Vladimir O. Kovalevskjj con un matrimonio combinato. Egli era pure era un giovane studioso: un paleontologo. I due giovani sposi si trasferirono allora in Germania, ad Heidelberg, dove avrebbero intrapresero studi universitari. Nè Sofia avrebbe potuto farlo da sola, poiché ai suoi tempi non le sarebbe stato concesso se non accompagnata dal consenso del padre o del marito. Intorno al 1870 Sofia e il marito si trovavano a Berlino, quando il professor Karl Veierstrass, essendo rimasto assai colpito dalla genialità dei suoi studi matematici , la volle sua collaboratrice, così mentre la sua attività culturale la portava a Parigi, a Gottinga e uscivano le sue prime pubblicazioni, nel contempo lei si preoccupava di liberare amici rivoluzionari e si schierava sui fronti di opposizione.
Era il 1875 quando venne pubblicato il suo Teorema di Cauchy-Kovalevski.
Pochi anni dopo, nel 1881, Sofia ottenne l'ambito titolo di membro della Società Matematica di Mosca. Ritornata in Germania, mise alla luce la sua unica figlia,ma poco tempo dopo, al suicidio del marito, entrambe si trasferirono in Svezia, dove Sofia cambiò anche nome, assumendo quello, peraltro assai simile, di Sonya Kovalevsky.
Durante il periodo della sua attività accademica, le furono tributati titoli onorifici di grande rilievo quali, nel 1888, il Prix Bordin dall'Accademia delle Scienze di Parigi e, l' anno seguente, il titolo di Accademico dell'Accademia delle Scienze di Russia, di cui era già stata eletta membro, e, nel medesimo anno ricevette il Premio della Reale Accademia di Svezia.
Era nata nel gennaio del 1850 a Mosca, morì nello stesso mese di gennaio, il 19 del 1891 a Stoccolma: una polmonite aveva stroncato prematuramente la sua ancor giovane vita e la sua preziosissima attività di matematica.
La sua attività negli studi scientifico-matematico ebbe come oggetto: la teoria della rotazione di un corpo rigido,che la condusse a scoperte molto significative che dovevano poi influire sugli studi successivi; il problema di Cauchy; il problema di Laplace e gli anelli di Saturno, ....... Non c'è da stupirsi che eminenti scienziati si occuparono dei suoi studi e ne trattarono nei loro libri.
Ma anche la sua attività letteraria merita un cenno: qui non conquistò titoli nè ambite onoreficenze, ma conquistò i lettori per la sua indole viva e appassionata, l'aspirazione, comune al cuore umano, all'esperienza dell'amore, per il sospiro sommesso ma pur scaturito dalle profondità di un animo sofferente... per la solitudine, la disillusione... i momenti d'infelicità....ma anche le gioie e le speranze! Ce la raccontano affabile e sorridente, cordiale, sensibile, acuta e portata alla riflessione, dotata di creatività e passione artistica.
Ci ha donato, tra le sue migliori opere, Il diario di George Eliot, il diario dell'infanzia... le memorie della rivolta polacca ....e poesie ....
I Russi le hanno dedicato dei film, che raccontano la sua vita ...
Sulla superficie della Luna c'è un cratere a lei dedicato dal nome:cratere Kovalevsakaya.


© rosalia de vecchi


Sophie Germain, matematica e scienziata

Il pittore Auguste Eugene Leray è  l'autore  di questo dipinto di Sophie a 14 anni

Sophie Germain


Sophie Germain si colloca nel gruppo delle grandi matematiche della storia del passato ed il suo nome è da accostare, per l'importanza ed il valore degli studi da lei condotti, a quello di altre eminenti personalità femminili, che si sono distinte nel campo scientifico-matematico, quali la stessa Ipazia, Maria Gaetana Agnesi, Laura Bassi, Emilie du Chatelet, Sofia Vasilyevna Kovalevskaya.
Nata a Parigi il 1° aprile del 1776 da famiglia ricca e all'avanguardia per i suoi ideali di libertà, Sophie è ricordata ancor oggi non solo per il contributo dato all'evoluzione degli studi matematici, ma anche come simbolo significativo della lotta femminista per l'abbattimento dei pregiudizi e degli ostacoli socio-culturali nei confronti della donna e della sua carriera professionale.
E' sempre molto interessante, quando si affronta la conoscenza dell'iter biografico di un'individualità, poter rilevare alcuni significativi rapporti esistenti tra la realizzazione del destino di questa e gli influssi derivanti dall'ambiente di formazione. Così, anche nel caso di Sophie, non è irrilevante che il padre, ricco commerciante, divenuto poi direttore della Banca di Francia e pertanto appartenente a quella classe borghese che, con la rivoluzione, volle far valere i propri diritti civili e politici, sia stato un rappresentante del Terzo Stato nell'Assemblea Costituente del 1789. Lei, infatti, animata dal medesimo spirito combattivo, lottò per parecchi anni prima di riuscire a veder riconosciuti i suoi talenti matematici all'interno delle istituzioni. E come altre donne della sua epoca perseguì il suo fine senza che alcuna esitazione ne frenasse l'impeto , senza che niente costituisse un ostacolo insormontabile al suo successo. La sua "Bastiglia" da espugnare furono gli ambienti accademici, per introdursi nei quali dovette persino fingersi uomo ed usare uno pseudonimo maschile, quello di Antoine-August Le Blanc. 
Sophie aveva 13 anni , quando scoppiò la rivoluzione e fu proprio quello stesso anno che scoprì la sua passione per la matematica. Come spesso accade, talvolta è un incontro che risveglia quanto giace nella nostra interiorità. Per Sophie l'incontro decisivo fu la lettura del racconto di Plutarco, contenuto in un libro per ragazzi, della morte di Archimede, durante l'assedio di Siracusa: « Ad un tratto entrò nella stanza un soldato e gli ordinò di andare con lui da Marcello. Archimede rispose che sarebbe andato dopo aver risolto il problema e messa in ordine la dimostrazione. Il soldato si adirò, sguainò la spada e lo uccise. ». Sophie ne fu molto colpita, poiché pensava quanto grande dovesse essere stata la passione dello scienziato per la matematica da non avergli fatto badare a salvare la vita!
Da quel momento Sophie cominciò a studiare matematica, dapprima da sola, poi sotto la guida di maestri, i cui metodi però lei stessa riteneva inadeguati alle sue esigenze conoscitive, che non si limitavano certo a quelle di una comune signorina di buona famiglia! Lei affrontava già la lettura diretta delle opere di Newton e di altri matematici, opere che poteva reperire da sé nella biblioteca paterna.
Sophie era ormai giunta al punto di aver necessità di percorrere un iter di formazione superiore degli studi matematici e perciò doveva ad ogni costo abbattere ogni ostacolo si sovrapponesse a questa sua necessità: la scuola superiore di studi scientifico-matematici da pochi anni aperta a Parigi che lei avrebbe voluto frequentare non ammetteva l'ingresso alle donne, per cui decise d'iscriversi sotto pseudonimo maschile e così, pur non potendo frequentare i corsi, ottenne di poter avere e studiare le dispense. Dopo un certo tempo, fu notata per la qualità del suo lavoro, dall'eminente professor Lagrange, il quale, fortunatamente, non smise di apprezzarlo, quando lei dovette rivelargli la sua vera identità. Questo evento fu una nuova svolta nella sua vita di studiosa, poiché, sostenuta dal professor Lagrange, Sophie intraprese gli studi più complessi della teoria dei numeri. Aveva 18 anni quando iniziò questo lavoro che l'avrebbe portata a individuare il "numero primo di Sophie Germain" e che ancor oggi viene ritenuto il più importante dei suoi studi, insieme a quello sulla teoria dell'elasticità. In quello stesso periodo diede inizio al suo carteggio con Friedrich Gauss ed anche questa volta volle usare lo pseudonimo maschile, per esser certa di essere presa in seria considerazione dal prestigioso matematico. Si preoccupò di Gauss quando Napoleone entrò in Prussia e lo raccomandò ad un amico di famiglia, un generale, che "vegliasse" su di lui, e più tardi, quando finì per rivelare anche a lui la sua vera identità, ancora una volta fu sorpresa nel riceverne apprezzamenti ed incoraggiamenti. Il carteggio si concluse quando il matematico, ricevuta la cattedra di astronomia all'Università di Gottingen, forse perché troppo impegnato in altri campi di ricerca, non rispose più alle sue lettere e lei, non più sostenuta nelle sue ricerche sulla teoria dei numeri dallo scambio con lo studioso, abbandonò questo campo e si dedicò ad altro.
In quei primi anni dell'ottocento il fisico tedesco Ernst Florens Friedrich Chladni portava avanti il suo interessantissimo lavoro sulle lastre vibranti e incontrava anche lo stesso Napoleone, al cospetto del quale dava luogo alle sue affascinanti dimostrazioni sulle vibrazioni impartite a lastre di vetro ricoperte di sabbia finissima. L'Accademia delle Scienze indisse un concorso per cercarne una spiegazione e Napoleone avrebbe offerto un premio in denaro. Sophie vi partecipò tre volte e mentre le prime due volte i suoi calcoli contenevano alcune imperfezioni, per cui non le venne mai riconosciuto il lavoro, infine la terza volta ottenne il riconoscimento. Tuttavia non volle presentarsi alla premiazione, poiché riteneva, dopo il trattamento ricevuto nelle due prime esperienze, un non apprezzamento adeguato al merito. Il suo lavoro sull'argomento, Memoria sulle vibrazioni delle piastre elastiche, è considerato un testo di grande valore. Sophie avrebbe voluto continuare le ricerche in questa direzione, ma la commissione dell'Istituto di Francia non volle nemmeno prendere in considerazione il suo articolo, presa com'era dalla presenza al suo interno di studiosi quali lo stesso Laplace! L'articolo fu scoperto più tardi e fu pubblicato nel 1880.
Sophie aveva però vinto, alla terza prova, l'ambito concorso che la riconobbe, a soli 40 anni, una delle grandi matematiche del suo tempo! E, unica donna, venne accolta all'Accademia delle Scienze, dove poteva frequentare a suo piacimento le varie sessioni. A quel tempo un tal privilegio era riservato soltanto alle mogli degli scienziati che facevano parte dell'Accademia.
Questa donna, questa studiosa, questa matematica, anch'essa destinata, come Sofia Vasilyevna Kovalevskaya ad una breve vita, morì nel giugno del 1831 a Parigi per un tumore. Non si era mai sposata, il padre non aveva infatti "manovrato" la sua esistenza!
I suoi lavori di filosofia della scienza piacquero a Comte.
Anche col suo nome fu ribattezzato un luogo del cielo, individuato in un cratere di Venere!




© rosalia de vecchi

venerdì 17 gennaio 2014

Gabrielle Émilie du Châtelet ( matematica, fisica)




Gabrielle Émilie du Châtelet , ritenuta “ uno dei più grandi ingegni al femminile non solo del XVIII secolo ma anche di ogni tempo”, fu una matematica, una fisica, una scrittrice e una traduttrice francese vissuta  a cavallo tra gli anni dell’assolutismo di re Louis XIV e l’inizio dell’epoca dei lumi; tradusse le opere di  Newton e di Leibniz, contribuendo alla diffusione e alla conoscenza delle loro teorie e lei stessa portò avanti ricerche nel campo matematico-scientifico e dimostrò che l’energia di un corpo in movimento è proporzionale alla sua massa e al quadrato della velocità, quando fino ad allora si era pensato che fosse direttamente proporzionale alla velocità. Fu amata da Voltaire, il quale, poco dopo la sua morte, avvenuta nel 1749, scrisse ad un’amica comune: “Je n'ai pas perdu une maîtresse mais la moitié de moi-même. Un esprit pour le quel le mien semblait avoir été fait. (non ho perduto un'amante ma la metà di me stesso. Un'anima per la quale la mia sembrava fatta).
Gabrielle Émilie Le Tonnelier de Breteuil, marchesa du Châtelet nasce a Parigi il 17 dicembre 1706 da una famiglia di  alto lignaggio: il padre svolge incarichi molto importanti presso la corte dello stesso Re Luigi XIV. I quadri che rappresentano membri della famiglia, con i loro palazzi e giardini lussuosi, ne sono una testimonianza. Gabrielle, dunque, fin da piccola vive in una situazione di privilegio, che le consente di ricevere un’educazione molto approfondita sia nel campo delle conoscenze letterarie e linguistiche che in quello matematico-scientifico, cosa questa, a quel tempo, assai rara per le fanciulle, persino quelle appartenenti agli strati privilegiati. Infatti, proprio durante il regno di Luigi XIV viene fondata la prima scuola statale per ragazze, l’Institut de Saint-Cyr, destinato a preparare le future mogli della nobiltà , ma  non è previsto lo studio della fisica o delle scienze naturali, poiché in generale alle donne non vengono riconosciute capacità per affrontare studi scientifici. Mentre si dedica con serietà e approfondimento ai suoi studi, Gabrielle, fin dall’età di sedici anni, frequenta la vita di corte con le sue mondanità e le sue frivolezze e presto si manifesta versata anche alla musica, alla danza e al teatro, arti alle quali si dedica con interesse e gusto raffinato. Continuerà a coltivare lo studio durante tutta la sua breve vita anche attraverso il confronto con uomini di genio nel campo scientifico, quali Clairaut, Eulero, König, Réaumur., Bernoulli, Buffon..... A 19 anni sposa il marchese Claude du Châtelet, da cui ha  tre figli. Un matrimonio come tanti a quei tempi non d’amore ma di censo, nonostante il quale Gabrielle vive con libertà le sue relazioni sentimentali, tra cui quella con il duca di Richelieu. Ma il legame più importante è quello con Voltaire. Con lui, che, nel frattempo, a causa dei suoi ultimi scritti dalle ormai manifeste, persino alla corte, idee politiche, era stato condannato all’arresto, Gabrielle si trasferisce nel suo castello di Cirey, nella Champagne. Qui, accoglie Voltaire, inizialmente, come ospite pagante suo e del marito e dopo poco è proprio il filosofo che fa restaurare a proprie spese il castello, che risale al XIII secolo ed è ormai in rovina. Qui Gabrielle e François-Marie, che pur vivono in appartamenti separati, cominciano gli anni più felici della loro vita. Nell’isolamento e la pace del luogo, essi studiano, scrivono, ricevono ospiti…. Da un appartamento all’altro si stende un ampio salone adibito a laboratorio di fisica e di chimica con fornaci, telescopi, prismi, bilance… Nel castello vien fatto costruire un teatro, perché a Voltaire piace recitare, soprattutto nelle sue tragedie, e Gabrielle, lui dice, è un’attrice eccellente, che possiede anche una “voix divine”, per cui spesso si cantano opere e si danno spettacoli di burattini e di lanterna magica allietati dalla verve comica dei commenti dello stesso filosofo. Ma François-Marie è vanitoso prodigo permaloso, Gabrielle talora avara arrogante e persino crudele e i due spesso litigano, ma sono nuvole passeggere. Lui le dedica più di cento poesie d’amore e le regala gioielli, tra cui un anello con inciso il proprio ritratto; lei dice di non potergli stare lontana due ore senza soffrirne. Stupisce forse che il loro amore non venga  tenuto nascosto, anzi viene messo in mostra, ma questa è un’epoca in cui alle classi privilegiate, i cui matrimoni avvengono per motivi di convenienza, viene riconosciuta la libertà delle proprie esperienze amorose, che vengono tollerate quali eventi “normali”. Anzi, la coppia, che per le qualità intellettuali di ciascuno, gode grande fama e popolarità, accoglie nella propria dimora, peraltro corredata da una biblioteca eccezionale di ben 21.000 titoli, un numero da università a quel tempo, numerosi ospiti. Lei è profondamente attratta dallo studio scientifico e fa pressione affinché anche lui si dedichi di più agli studi scientifici. Approfondisce la matematica e la fisica e per questo prende lezioni da  Maupertuis, suscitando forse la gelosia di Voltaire che disputa con lui a Berlino. Lei legge i classici latini, il Tasso, i filosofi inglesi  Locke e Newton, discute in italiano con Algarotti, suo ospite. Scrive il suo famoso ed originale Traité de la bonheur, dove analizza le  basi della felicità, rintracciandole nella salute, nell’’amore, nella virtù, in una ragionevole intemperanza e nella ricerca del sapere. Vi afferma che “di tutte le passioni, è l’amore del sapere che più contribuisce alla felicità poiché è quella che meno ci fa dipendere dagli altri.” Nondimeno, vi definisce l’amore come “la più grande di tutte le buone cose che siano alla nostra portata,la sola alla quale si dovrebbe  sacrificare persino il piacere dello studio. L’ideale sarebbe che due persone fossero attratte l’una dall’altra al punto che la loro passione non si raffreddasse mai e mai si saziasse. Ma una così perfetta armonia tra due esseri è insperabile. Di cuori capaci di un tal amore, di anime così tenaci e così affettuose ne nascono sì e no una ogni secolo.”. Pubblica nel 1737 gli Elements de la philosophie de Newton, con la prefazione di Voltaire , allo scopo di far pervenire ad un pubblico più vasto, ed anche meno informato nel campo delle conoscenze scientifiche, l’opera dello scienziato inglese e tre anni dopo pubblica le Institutions de phisique che fanno di lei la divulgatrice del pensiero di Leibniz in Francia. Scrive la Dissertation sur la nature et la propagation du feu, uno scritto polemico nei confronti delle proteste a lei dirette dal De Mairan, che rifiuta le sue critiche alla propria opera.    Traduce in francese, dal latino, i Principia di Newton e vi aggiunge un commentario dove espone la soluzione di problemi connessi con l’attrazione newtoniana. La traduzione, che fu pubblicata  anni dopo la sua morte, è tuttora l’unica traduzione in francese dell’opera di Newton ed è per questa traduzione che Voltaire afferma: "si sono avuti due prodigi: uno che Newton abbia scritto tale opera e l’altro che una donna l’abbia tradotta e l’abbia spiegata". Scrive “Exposition abrégée du systém du monde, che Voltaire giudica superiore ai propri Eléments de la philosophie de Newton.  Tra i suoi numerosi scritti, dei quali anche altri saranno pubblicati dopo la sua morte, vi sono: il saggio sull’ottica, intitolato De la formation des coleurs, la Réponse à une lettre diffamatoire de l’abbé Desfontaines, alcuni capitoli di una Grammaire raisonnée. Trascorso un decennio, di cui lei stessa dice: “ Fui felice per dieci anni nell’amore di uno che aveva  conquistato l’anima mia….Quando l’età e la malattia ebbero scemato il suo affetto, passò molto tempo prima che me accorgessi…..Ho perduto questa felicità…”, Émilie e François- Marie si allontanano l’uno dall’altra . Nel 1746 Émilie incontra il poeta Saint Lambert, di dieci anni più giovane di lei, dal quale si sente fortemente attratta, malgrado la superficialità dei sentimenti di lui nei propri confronti. Una gravidanza in un’età per i suoi tempi rischiosa si conclude con la  tragica  della figlioletta appena nata e sei giorni dopo della sua morte a soli 43 anni. Voltaire è  a Lunéville, al suo capezzale. E’ il 1749.
Emilie di Chatelet, una donna dalla cultura poliedrica, non fu risparmiata anche lei  da critiche e pregiudizi in quanto donna. Lei stessa, nel famoso Traité de la bonheur ( Discorso sulla felicità), mette in evidenza la disparità dei sessi: la maggiore libertà concessa agli uomini e le possibilità negate alle donne. Si era già alle soglie del secolo dei lumi, Gabrielle Émilie volle e poté esercitare la propria libertà, ma, paradossalmente, intorno a sé sussistevano i pregiudizi sul sesso femminile di sempre.

Manoscritti autografi, dipinti, costumi, oggetti preziosi e strumenti scientifici,forniscono materiale di esposizioni che vogliono ricordare questa geniale scienziata dell’Illuminismo, ma anche donna coraggiosa e indipendente. La bibliografia su di lei annovera vari autori francesi italiani inglesi. Oggi esiste un  Institut Émilie du Châtelet per lo sviluppo e la diffusione delle ricerche sulle donne.

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Maria Gaetana Agnesi ( matematica e... benefattrice!)



«Stupitevi piuttosto, che con saper profondo
Prodotto abbia una donna un sì gran libro al mondo.
È italiana l’autrice, signor, non è olandese,
Donna illustre, sapiente, che onora il suo paese;
Ma se trovansi altrove scarsi i seguaci suoi,
Ammirasi il gran libro, e studiasi da noi»
[Goldoni, 1827, pp. 230-231]

Era il 1756: a Milano Carlo Goldoni rappresentava per la prima volta la commedia “Il medico olandese”, nel cui testo si leggono i versi cui sopra, dedicati “all’autrice d’un certo libro italiano/ che tratta delle Analisi.”
L’autrice è Maria Gaetana Agnesi; il “certo libro italiano” sono Le Instituzioni analitiche per uso della gioventù italiana, stampate in due volumi nel 1748 a Milano e dedicate all'imperatrice Maria Teresa d’Austria. Si tratta  di un manuale d’introduzione all’algebra, alla geometria cartesiana e al calcolo infinitesimale; manuale che fu l’unico testo di riferimento in materia durante tutta la seconda metà del settecento nell’intera Europa, e che rese famosa la donna che per prima si preoccupò di compilare un  testo completo e dettagliato ma nel contempo semplice e chiaro, che introducesse i principianti allo studio della matematica. Tutta Europa applaude alla giovane matematica: l’Accademia Reale di Francia giudica la sua opera di grande valore per le esposizioni molto avanzate, l’imperatrice ringrazia l’autrice con un anello di brillanti, che le invia custodito in un prezioso cofanetto e il Papa le fa pervenire, insieme alle sue “santissime benedizioni”, ricchi doni. Goldoni, con i suoi versi, esprime non solo la propria, ma anche la voce dell’intero  mondo del teatro, che anch’esso vuole aggiungersi al coro delle lodi provenienti dal mondo della cultura e dei potenti. Primo lavoro sistematico nel campo suddetto, aggiornato delle nuove teorie e corredato di procedimenti nuovi per quanto riguarda la soluzione delle equazioni differenziali,  le Instituzioni furono presto tradotte in inglese da John Colson professore di matematica a Cambridge con il titolo Analytical Institutions e furono pubblicate postume mentre  solo il secondo volume di esse fu tradotto in francese col titolo Traités élémentaires de calcul différentiel et de calcul integral da P. T. D’Antelmy in collaborazione con Charles Bossut, traduzione pubblicata a Parigi nel 1775. Il trattato fu considerato anche come la migliore introduzione ai lavori di Eulero e contribuì alla divulgazione delle idee e delle scoperte di  Newton e di Leibnitz, che ai suoi tempi erano ancora poco conosciuti. Inoltre, in questo suo manuale, Maria Gaetana Agnesi tratta una curva, la curva “versiera”, che ancora oggi è nota e studiata col nome di “curva di Agnesi”.  Nella lingua inglese è detta la “Witch of Agnesi”( la strega di Agnesi, da cui la curva avversiera)  così chiamata probabilmente per un errore di traduzione del Colson.  La curva d’Agnesi, però, non fu una sua scoperta,  ma fu una scoperta di Guido Grandi, che la chiamò “curva con seno verso” da cui “curva versiera”. È  interessante ricordare che, nell’anno 2003, sulla curva d’Agnesi è stato impostato uno dei problemi degli Esami di Stato per il Liceo Scientifico.**************
Maria Gaetana Agnesi nasce  a  Milano il 16 maggio 1718. E’ la prima di 21 figli. La sua è una famiglia le cui ricchezze derivano dalle attività legate all’industria della seta. Il padre è professore di matematica all’Università di Bologna. Maria Gaetana trascorre i suoi primissimi anni di vita in un ambiente in cui la cultura occupa un posto di primo piano e lei stessa si rivela presto una bambina prodigio, dotata di intelligenza eccezionale. Fin da soli cinque anni, per volere paterno, sotto la guida di eminenti maestri, apprende il latino, il greco, l’ebraico… il francese, lo spagnolo, il tedesco… dimostrando una spiccata inclinazione per l’apprendimento delle lingue, infatti, tra i cinque e i nove anni completa la sua educazione linguistica tanto da padroneggiare tutte le lingue, antiche e moderne, imparate fino ad allora.  Nel frattempo completa anche gli studi matematici, che, già fanciulla domina perfettamente. La sua casa è frequentata da uomini di cultura e Maria Gaetana, adolescente, partecipa già alle discussioni di filosofia e di matematica, nonostante la sua natura timida e riservata. Il contributo da lei stessa dato agli approfondimenti degli studi matematici  rende la casa paterna uno dei salotti più famosi ed interessanti di Milano.       Ed è ancora per volere del padre che nel 1738 vengono pubblicate le Propositiones Philosophicae, una raccolta cioè di 191 tesi, basate sulle discussioni intorno a problemi di logica,botanica, cosmologia, ontologia, meccanica, pneumatologia, svoltesi in casa sua. E’ in questi scritti che Maria Gaetana afferma la necessità dell’istruzione delle donne.
Una svolta importante  nella sua vita  è costituita dalla perdita prematura della madre. Maria Gaetana si ritira dalla vita pubblica e, per sua libera scelta, assume la direzione della famiglia e dell’educazione dei fratelli di lei più giovani, senza pertanto abbandonare né trascurare i propri studi, ma se mai prendendosi cura anche di quelli dei fratelli. Maria Gaetana, che oggi noi ricordiamo non solo per le sue rare qualità matematiche ma anche per la sua generosa opera di benefattrice, si era sentita chiamata alla vita religiosa e aveva chiesto al padre di poter entrare in convento, ma la vita ora  le pone  innanzi un compito insospettato, cui lei non  volge le spalle:  nonostante il successo e la stima conseguiti  già così giovane, preferisce interrompere la frequenza di salotti intellettuali e rifugiarsi nell’approfondimento dell’algebra e della geometria. La sua anima è tranquilla, come lei stessa afferma, e il suo interesse matematico la conduce ad analizzare il Traité Analytique des Sections Coniques del marchese de L'Hôpital, della quale stende un commento, che non sarà però mai pubblicato. Nel 1750 sostituisce il padre nell'insegnamento della matematica all'Università di Bologna; ma quando, dopo la morte del padre, avvenuta nel 1752, papa Benedetto XIV  acconsente che Maria Gaetana ricopra ufficialmente la cattedra, lei rifiuta e si ritira dalla vita pubblica per dedicarsi interamente ai suoi studi , all’istruzione dei fratelli e degli stessi domestici e, finalmente anche, ai poveri e agli ammalati. Agli studi matematici unisce lo studio approfondito delle Sacre Scritture. La sua casa si trasforma in un piccolo ospedale, in cui lei stessa cura le donne ammalate ed inferme alle quali dà rifugio.  Vende uno dopo l’altro tutti i suoi beni e chiede l’aiuto e il contributo di conoscenti, di personalità autorevoli, di opere pie  per poter mandare avanti la sua opera, quando ecco che il principe Don Antonio Tolomeo Trivulzi la fa oggetto di una donazione e lei può ora finalmente fondare il Pio Albergo Trivulzio. Sollecitata dal Cardinale Giuseppe Pozzobonelli, diventa prima Visitatrice e Direttrice delle donne,specialmente inferme,poi, trasferitasi direttamente nell’Albergo, ne diventa Direttrice e lì vive il resto della sua vita. Tiene lezioni di catechismo e continua a studiare i testi sacri, diventa così teologa, cui persino il cardinale Pozzobonelli si rivolge per consiglio. Rifiuta invece, in questi anni, di fornire la sua consulenza su testi e questioni di ordine scientifico, dicendo che le sue “occupazioni” le impediscono di averne il tempo. Dopo ventisei anni di attività al Trivulzio, il 9 gennaio dell’anno 1799, Maria Gaetana Agnesi muore a Milano. 
Tra i giudizi e le opinioni su Maria Gaetana Agnesi amiamo qui riportare i seguenti:  fu detta un «enigma psicologico», di lei si disse che era una donna dal «meraviglioso conversare in argomenti tanto astratti». Si racconta che Pietro Verri abbia detto che «ritrovava spesse volte nei sogni la soluzione dei problemi più ardui e l’invenzione de’ metodi più semplici ed eleganti»…

 La sua mente matematica, un enigma psicologico, trovò dunque nei sogni le risposte agli enigmi posti dai problemi più ardui! E l’enigma fu capace di sciogliere enigmi! 
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Laura Bassi Bologna, la prima professoressa di Fisica all’ Università di Bologna.



Donna di eccezionale ingegno, dedita agli studi scientifici, dalla meccanica razionale alla dinamica dei fluidi e alla fisica elettrica della chimica dei gas…. fu la prima professoressa di Fisica all’Università di Bologna.
“Bambina prodigio”, come già la ritennero i contemporanei, Laura Maria Caterina Bassi Verati - o Veratti –nasce a Bologna nel 1711. Riceve un'istruzione ricca e poliedrica: in matematica, filosofia, anatomia, storia naturale e lingue da Gaetano Tacconi, professore di Medicina all'Università di Bologna, dimostrandosi versata in ognuna di queste discipline. Giovanissima, si segnala per le sue notevoli qualità intellettuali e, ancor prima di laurearsi brillantemente, dibattendo 49 tesi (6 in logica, 16 in metafisica, 18 in fisica e 9 su De anima) a Bologna in Filosofia Naturale nel 1732, diventa socia onoraria  dell'Accademia delle Scienze. Certo, non fu la prima donna a ricevere la laurea, poiché già nel 1678 Elena Lucrezia Cornaro Piscopia si era laureata in Filosofia a Padova e , durante il medioevo, c’erano stati altri casi. Ma fu la prima donna cui venne affidata una lettura universitaria, la prima ad entrare stabilmente in quel “ mondo senza donne “ come  dice David F. Noble nel suo libro “ A world without women new york” del 1992. A vent'anni conosce così bene le opere di Cartesio e di Newton da essere ritenuta dal suo stesso maestro un “mostro in filosofia”. Non stupisce allora se, subito dopo la laurea, le viene assegnata la Lettura Universitaria di Filosofia. Non stupisce anche perché quell’ Italia  del settecento, che ebbe condizioni particolarmente favorevoli per la cultura, non precludeva ai fanciulli poveri come alle donne, - sebbene queste non le incoraggiasse, - se meritevoli, di accedere ai luoghi del sapere.  Per le sue biblioteche, i  teatri,  i concerti, i periodici di ogni genere, le accademie, gli artisti e i musicisti,  le scuole religiose, dove insegnavano anche laici, l’Italia con la sua cultura stimolante per il pensiero e per ogni forma d’arte, fu ammirata dall’intera Europa, guardata con rispetto come un grande e vivo centro di cultura, dove uomini di talento sceglievano di sostare per la propria formazione o di  visitare. Nel 1738 Laura sposa Giuseppe Veratti, medico e fisico, che si dedicò in particolare agli esperimenti sull’uso terapeutico dell’elettricità e sull’elettricità atmosferica e che svolse ricerche sugli effetti degli stimoli elettrici sul sistema nervoso, ricerche che aprirono la strada alla scoperta dell’elettricità animale da parte di
Luigi Galvani. Da questa unione, che  si rivela duratura e stabile sia sul piano affettivo che quello culturale e dalla quale nascono otto figli, Laura trae dei vantaggi anche nei confronti del superamento degli ostacoli che prima si opponevano alla sua carriera , in quanto donna. La nuova  condizione di donna sposata le apre ora  ambienti e salotti intellettuali. La loro stessa casa, che contiene anche un gabinetto di fisica molto ben attrezzato, costituisce un centro di incontro tra studiosi provenienti da ogni parte. Papa Benedetto XIV, appassionato d’arte e di scienze e  grande ammiratore di Galileo e di Newton, la inserisce nella classe degli Accademici Benedettini in un programma di potenziamento della Fisica. Nel 1749 inaugura un laboratorio privato, che ben presto diventa famoso in Europa , poiché vi affluiscono sia  personalità di spicco che giovani promesse  del mondo scientifico. Così Laura Bassi viene in contatto con uomini quali Alessandro Volta, lo stesso Voltaire, Lazzaro Spallanzani, con cui mantiene un’ interessante corrispondenza epistolare, Felice Fontana, Antoine Nollet…. Con costoro affronta e discute  i temi scientifici che si vanno studiando e sviluppando in quegli anni e con la sua attività di ricercatrice e di autrice di testi scientifici contribuisce notevolmente alla diffusione in Italia della fisica di Newton e  degli studi sull’elettricità di Benjamin Franklin.
Nel 1776, dopo anni di attività, finalmente, Laura Bassi viene riconosciuta dal senato bolognese idonea a coprire la cattedra di fisica nell’Istituto di Scienze e il marito, al quale viene ora affidato il ruolo di assistente, alla morte di lei,  nel 1778,  ne prenderà il posto.
Donna e madre ma anche studiosa ricercatrice scrittrice e docente Laura Bassi ebbe una carriera, certo, molto brillante ma, pur nell’apertura del clima culturale del suo tempo, non esente da ostacoli quali quelli derivanti da pettegolezzi e resistenze  di vario tipo ….ma questo non la fermò mai nella sua battaglia per la diffusione del metodo sperimentale e per l’affermazione dell’emancipazione della donna. L'Accademia delle Scienze di Bologna  conserva le sue molte dissertazioni (di chimica, di fisica di idraulica di matematica, di meccanica, di tecnologia), le sue lettere, le sue opere, tra le quali ebbero molta fama negli ambienti scientifici il De problemate quodam idrometrico, il De aeris compressione.

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Wilhelmina Charlotte Caroline, regina di Gran Bretagna,








Voltaire disse di lei:
 “ è certamente nata per incoraggiare le arti e per il bene della razza umana…..E’ un’amabile filosofa seduta su un trono.” .

Una moglie, che un re amò “teneramente”, pur assecondando i costumi  dei regnanti, i quali  non seppero o non vollero mai rinunciare, per  piacere o per  prestigio, o per l’uno e l’altro insieme, alla compagnia di avvenenti amanti. Una moglie della quale il re, suo sposo, non smise mai di rispettare e onorare l’intelligenza, l’eccelsa cultura, la passione per le arti, il raffinato mecenatismo e le pronunciate capacità di governo, a tal punto che durante le sue assenze, la lasciava arbitra delle scelte e delle decisioni  della politica del suo regno, sia pur coadiuvata in quest’arte difficile dal fidato Walpole. Una donna destinata a regnare e perciò educata fin dalla più tenera età nei salotti più  raffinati del suo tempo, e più  celebri per  l’eccelso valore dei suoi frequentatori.  Questa donna, Wilhelmina Charlotte Caroline, regina di Gran Bretagna, fu moglie di Giorgio II. d’Inghilterra.  Nata in Hannover il 1 marzo del 1683, Carolina di Brandenburgo - Ansbach era figlia del margravio Federico del Brandeburgo e della  Principessa Eleonora Erdmute Luisa di Sassonia-Eisenach, seconda moglie del padre. Rimasta orfana ancor piccola, si trasferì alla corte di Charlottenburg, dalla nonna Sofia Carlotta, sorella di Giorgio I e prima regina di Prussia, crebbe tra filosofi e teologi protestanti, conobbe il grande Leibniz e lei stessa s’interessò e disputò di filosofia, assurgendo a posizioni di spregiudicato liberalismo e di “scandalosa”tolleranza religiosa.
 Non esitò a rifiutare la richiesta di matrimonio dell’Imperatore del sacro Romano Impero, di quel Carlo VI, sposando il quale sarebbe diventata regina della Cattolica Spagna: a lei, infatti, non interessavano né il regno di Spagna né tanto meno il Cattolicesimo. Incontrò in quello stesso periodo Giorgio Augusto, il giovane Principe Elettore dell’Hannover, il “piccolo rubicondo”, come lo dice Thackeray nel suo“The Four Georges”, che divenne poi re Giorgio II. I due principi si sposarono nel 1705.
Alla corte inglese, Carolina, dall’aspetto massiccio e senza grazia ma aperta e cordiale, di raffinatissimo gusto letterario e musicale e di appassionato interesse filosofico scientifico, intelligente e colta, amante del potere e  straordinariamente capace nell’arte del buon governo, in breve tempo si conquistò le simpatie di tutti, dell’aristocrazia e del popolo.  Trasformò la corte in un salotto culturale, cui ebbero accesso spiriti eminenti quali: Newton, Bwerkeley, Pope, Chesterfield, Handel…. Fu lei che  non abbandonò mai  il grande Handel, sostenendolo quando il re  e il pubblico lo abbandonavano, incoraggiò la vaccinazione, salvò dalla miseria una figlia di Milton…. finanziò e protesse i talenti giovanili,  si preoccupò di assicurare libertà religiosa anche  ai giacobiti scozzesi, si dichiarò favorevole al finanziamento di stato della chiesa per assicurare moralità e tranquillità  all’Inghilterra.
Carolina  amata e rispettata da tutti divenne una delle donne più influenti e potenti: re Giorgio la nominò Guardian of the Kingdom of Great Britain, titolo che di fatto la faceva reggente del trono tutte le volte che il re era assente.
Madre di numerosa prole e sposa fedele,  Carolina morì nel 1737 ancora giovane  a causa di un’ernia; il suo spiccato senso dell’umorismo si rivelò  anche in punto di morte, quando, dopo aver raccomandato al marito di risposarsi, alla sua risposta:“ No, avrò delle amanti.” , si dice che lei abbia esclamato: ”Oh! Ma questo non te lo impedisce!”.
Si dice anche che Giorgio abbia pianto molto la sua regina e sul suo conto abbia pronunciato lusinghieri e sinceri giudizi.  Egli volle che alla sua morte le sue spoglie fossero disposte nella stessa bara  della moglie, nell’Abbazia di Westminster.

 © rosalia de vecchi