“Miei
Lord, le leggi di natura mi spingono al rimpianto per mia sorella; il
fardello che ricade su di me, mi sbigottisce; eppure, considerando
ch’io sono una creatura di Dio tenuta ad ubbidire all’ordine Suo,
ad esso mi sottometterò; desiderando dal profondo del cuore di poter
essere assistita dalla Sua grazia per adempiere sulla terra la sua
volontà nel compito ora affidatomi. ….”. Era il 20 novembre
1558. Queste parole pronunciate con schiettezza e regalità, al
cospetto d’una piccola folla di Lord, Ladies e borghesi, furono
pronunciate dalla giovane Elisabetta Tudor, che all’età di 25 anni
era chiamata a salire sul trono d’Inghilterra. Solo tre giorni
prima un corriere era giunto nel palazzo di Hatfield ad annunciare ad
Elisabetta che era regina d’Inghilterra. Qui l’ “illegittima”
figlia di Enrico VIII e di Anna Bolena viveva in vigile riservatezza
fin dall’età di tre anni e qui, grazie a Jane Seymour, ultima
moglie del re, aveva ricevuto un’ottima educazione sotto la guida
del suo celebre precettore Roger Asham, il quale con orgoglio misto
ad ammirazione diceva di lei: “parla il francese e l’italiano
altrettanto bene che l’inglese… la sentii parlare con abile
disinvoltura il latino e, in modo discreto, anche il greco…”. Qui
Elisabetta si era dedicata tutti i giorni agli studi teologici, da
cui trasse una profonda cultura protestante, e alla lettura di
maestri italiani quali Pomponazzi, Machiavelli ed autori vari della
Roma rinascimentale, dai quali, forse, derivò il suo scetticismo; ma
qui, in questo palazzo di Hatfield, non era mai stata sicura né
della corona né della propria vita: dovendo sospettare di tutti e di
tutto, senza potersi fidare di nessuno, ad eccezione di pochissimi
fedeli che vegliarono su di lei sempre, la giovane donna temprò il
suo carattere e si mantenne accuratamente padrona del suo fare come
del suo dire, osservando, vagliando, attendendo. Una buona stella
l’aveva fatta nascere da un potente padre, ma una cattiva stella le
aveva dato una madre attraente quanto sfortunata, se doveva morire in
mano ai carnefici, esecutori degli ordini del marito! Per un atto del
Parlamento era stata dichiarata illegittima e figlia di un’adultera;
un secondo atto del Parlamento le restituiva in parte quanto
precedentemente negato, la successione al trono, ma non la
legittimità della nascita. Aveva conosciuto l’oscuro respiro della
prigione nella Torre di Londra, accusata di complicità nel tentativo
del colpo di Stato che avrebbe voluto rovesciare la sorella Maria,
quella stessa Maria che, chiamata “la Sanguinaria”, fu invece
l’autrice di un atto di generosità, lo stesso che le fece
pronunciare in punto di morte il nome di Elisabetta, sua sorella,
come erede al trono d’Inghilterra. E’ a Maria la Sanguinaria che
dobbiamo la pagina di storia dominata e illuminata da Elisabetta I ,
Elisabetta la grande!
Ora, vestita di velluto color porpora, a
cavallo, in corteo, verso quella stessa Torre che per un certo tempo
era stata suo carcere, mentre il Parlamento ancora risuonava del
grido “Dio salvi la regina Elisabetta! Lungo sia il suo regno!” e
il cielo di Londra vibrava dell’eco dello scampanio delle chiese,
Elisabetta si faceva avanti tra il suo popolo, che l’acclamava con
canti di gloria e mandava avanti i bambini a recitare tremanti
discorsetti di augurio, mentre i cannoni sparavano forti e potenti
come mai s’era udito. Venticinque anni, con il fascino di una donna
che pur giovane si faceva matura, non tanto alta, dai lineamenti
regolari in un volto decisamente bello, la pelle di color olivastro ,
gli occhi lampeggianti, i capelli dai riflessi di rame e le mani, le
mani assai belle e ben messe in mostra. Così appariva Elisabetta
quando venne incoronata nell’abbazia di Westiminster, così la
donna destinata a forgiare il destino di Inghilterra, entrava nella
storia: fermamente decisa a far fronte alle scomuniche del Papa, ai
soldati francesi di Scozia e a quelli di Spagna in Irlanda, ai
complotti che potevano mettere in pericolo la propria vita e alle
mire espansionistiche del mondo cattolico di Filippo II, sicura di
poter contare sull’appoggio di uomini scaltri quanto fidati, sulla
saggezza dei suoi consiglieri come sul coraggio che animava l’animo
suo stesso.
“Lo
spirito di quella donna…. è posseduta dal diavolo, che se la sta
trascinando al suo posto…” disse l’ambasciatore di Spagna
quando la vide e l’Europa di vecchi volponi scoprì di che pasta
fosse quella giovane donna e quale grande regina si celasse dietro ai
suoi “innocenti” sorrisi!
© rosalia de vecchi
Ora, vestita di velluto color porpora, a cavallo, in corteo, verso quella stessa Torre che per un certo tempo era stata suo carcere, mentre il Parlamento ancora risuonava del grido “Dio salvi la regina Elisabetta! Lungo sia il suo regno!” e il cielo di Londra vibrava dell’eco dello scampanio delle chiese, Elisabetta si faceva avanti tra il suo popolo, che l’acclamava con canti di gloria e mandava avanti i bambini a recitare tremanti discorsetti di augurio, mentre i cannoni sparavano forti e potenti come mai s’era udito. Venticinque anni, con il fascino di una donna che pur giovane si faceva matura, non tanto alta, dai lineamenti regolari in un volto decisamente bello, la pelle di color olivastro , gli occhi lampeggianti, i capelli dai riflessi di rame e le mani, le mani assai belle e ben messe in mostra. Così appariva Elisabetta quando venne incoronata nell’abbazia di Westiminster, così la donna destinata a forgiare il destino di Inghilterra, entrava nella storia: fermamente decisa a far fronte alle scomuniche del Papa, ai soldati francesi di Scozia e a quelli di Spagna in Irlanda, ai complotti che potevano mettere in pericolo la propria vita e alle mire espansionistiche del mondo cattolico di Filippo II, sicura di poter contare sull’appoggio di uomini scaltri quanto fidati, sulla saggezza dei suoi consiglieri come sul coraggio che animava l’animo suo stesso.
© rosalia de vecchi
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