I geroglifici di Nazca
Nell'antico
Perù, dei disegni, dei geroglifici talora lunghi parecchi chilometri,
sono stati fatti persino sul suolo.
Si tratta di più di 800 disegni, che riproducono in modo elementare i profili stilizzati di animali comuni nell'area, quali la la balena, il pappagallo, la lucertola lunga più di 180 metri, il colibrì, il condor e l'enorme ragno lungo circa 45 metri.
Ancora oggi, antropologi e archeologi s'interrogano sul significato di queste vestigia relative ad una civiltà di molti secoli anteriore a quella degli Incas.
La regione semi desertica di Nazka, l'altopiano arido di Nazka che si estende per una cinquantina di chilometri tra Nazka e Palpa nel Perù meridionale, fu un tempo culla di una grande civiltà apparsa intorno al 200 a.C., caratterizzata dalla sua ceramica policroma, dai suoi tessuti, dall'arte funeraria della mummificazione e dalle sue costruzioni monumentali, di cui la Piramide in adobe di Cahuachi, a circa 30 chilometri da Nazka. Questi geoglifi, che costituiscono uno tra i più grandi enigmi archeologici dei nostri tempi, furono scoperti alla fine degli anni '20 in seguito ad un sorvolo aereo. Sui fianchi delle colline di Nazka le linee dritte, le forme geometriche, spirali e trapezi, ed anche gli elementi figurativi sono stati ottenuti rimuovendo dalla superficie la terra color ocra composta da ossidi di ferro in modo da far venir fuori una sabbia più chiara situata a 40 cm di profondità. Le linee rette sono le più numerose e per lo più molto lunghe; una di esse è circa 10 km. Le forme trapezoidali possono persino misurare 400 metri di lato. I disegni, per la maggior parte, rappresentano uccelli: colibrì, pellicani, condor... La più sorprendente di queste figure è quella di un uccello visto di profilo, il cui becco misura 275 metri di lunghezza.
Si tratta di più di 800 disegni, che riproducono in modo elementare i profili stilizzati di animali comuni nell'area, quali la la balena, il pappagallo, la lucertola lunga più di 180 metri, il colibrì, il condor e l'enorme ragno lungo circa 45 metri.
Ancora oggi, antropologi e archeologi s'interrogano sul significato di queste vestigia relative ad una civiltà di molti secoli anteriore a quella degli Incas.
La regione semi desertica di Nazka, l'altopiano arido di Nazka che si estende per una cinquantina di chilometri tra Nazka e Palpa nel Perù meridionale, fu un tempo culla di una grande civiltà apparsa intorno al 200 a.C., caratterizzata dalla sua ceramica policroma, dai suoi tessuti, dall'arte funeraria della mummificazione e dalle sue costruzioni monumentali, di cui la Piramide in adobe di Cahuachi, a circa 30 chilometri da Nazka. Questi geoglifi, che costituiscono uno tra i più grandi enigmi archeologici dei nostri tempi, furono scoperti alla fine degli anni '20 in seguito ad un sorvolo aereo. Sui fianchi delle colline di Nazka le linee dritte, le forme geometriche, spirali e trapezi, ed anche gli elementi figurativi sono stati ottenuti rimuovendo dalla superficie la terra color ocra composta da ossidi di ferro in modo da far venir fuori una sabbia più chiara situata a 40 cm di profondità. Le linee rette sono le più numerose e per lo più molto lunghe; una di esse è circa 10 km. Le forme trapezoidali possono persino misurare 400 metri di lato. I disegni, per la maggior parte, rappresentano uccelli: colibrì, pellicani, condor... La più sorprendente di queste figure è quella di un uccello visto di profilo, il cui becco misura 275 metri di lunghezza.
Si
ritiene che i più antichi di questi geroglifici, quelli che
rappresentano gli animali, siano anteriori al 600 a.C.
Nel
1940 l'archeologo americano Paul Kosok dedusse che questi geroglifici rappresentino la carta del cielo, costituendo così "il più
grande libro di astronomia del mondo".
L'antropologo
Gary Urton ha ipotizzato che le linee tracciate siano servite a
ordinare gruppi di partecipanti a riti religiosi e che le tracce
lasciate da innumerevoli passi ben testimoniano che esse abbiano
formato uno spazio di circolazione piuttosto che uno di
"contemplazione". Le tracce indicano probabilmente il
percorso obbligato e "labirintico" dei pellegrini, dei
quali il movimento ritmico,- di danza, di passi di corsa, di marcia-,
e gli abiti colorati donavano vita alle diverse figure.
dall'articolo
in francese di Carmen Bernard, nella rivista Le monde des religions
n.13.
Gli
indigeni chiamano Nazca "il deserto che parla", ed è vero.
Ma parla con voce di roccia, parla con linee e disegni di una
perfezione rarissima, osservabili solo dal cielo in quella desolata
regione che viene chiamata "pampa".
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